Toscana: turismo, il territorio aretino al sapore di scottiglia

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Ecco l'itinerario del gusto proposto da Artex  e presentato da Franco Cardini, pubblicato su Artour Toscana.

«La regina della tavola aretina, per quanto si faccia un po’ più rara data la lunghezza della preparazione e forse i pregiudizi dietetici è la “scottiglia” – racconta lo storico Franco CardiniGustare una buona scottiglia è una fortuna; partecipare alla sua preparazione un raro privilegio, che può condurre a una perfetta esperienza».
Cardini accompagna i viaggiatori alla scoperta delle tradizione culinarie di Arezzo e, insieme, delle sue bellezze artistiche e paesaggistiche, nell’itinerario La Cucina di Arezzo, uno degli otto percorsi enogastronomici proposti da Artourt Toscana, progetto di Artex per offrire ai viaggiatori (e ai toscani) spunti per conoscere la regione attraverso percorsi fuori dei circuiti di massa e promuovere un turismo culturale lento, consapevole, sostenibile.

Il tour si snoda tra Anghiari, Arezzo, Foiano della Chiana, Cortona, 20 chilometri scanditi dal profumo dei tartufi dell’Azienda Agricola Villa Magna, dal sapore del gin “made in Tuscany” di Sabatini, dalla vista dei campi coltivati con grani antichi e legumi dell’azienda Gorfini Giuliano o delle vigne della San Luciano, dal gusto dei formaggi del Caseificio Matteassi Onelio, dei dolci della pasticceria Fabio e Gianni, o della pasta fresca del pastificio La Rustica.
Sul sito Artour Toscana (http://toscana.artour.it) l’itinerario è illustrato attraverso una presentazione, l’elenco e le schede delle aziende agricole, degli agriturismi, dei frantoi in cui gustare i prodotti tipici, e una mappa geolocalizzata che indica il tracciato e i luoghi di interesse.

Franco Cardini

«Nella cucina di Arezzo, nella quale convergono tradizioni e materie prime provenienti dalle bassure chianine e dalle alture casentinesi, primeggiano i prodotti semplici e di ottima qualità, come i prosciutti stagionati e i salumi essiccati (con qualche sperimentazione interessante nel campo di quelli cotti e addirittura affumicati), nonché le carni – anche selvaggina: il cinghiale ha un ruolo di spicco, al quale si sono ormai aggiunti capriolo e perfino cervo – nelle tradizionali cotture alla brace e  al forno e nelle non meno tradizionali preparazioni dello spezzatino e dello stufato nelle quali rispetto al medioevo sono magari diminuite le spezie ma si è aggiunto il pomodoro, mentre costante resta il vino», racconta Franco Cardini.

Turismo, ecco gli Itinerari del Gusto per scoprire la Toscana tra sapori e paesaggi

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Iniziativa Artex nell'ambito del progetto Artour Toscana.  A illustrare i percorsi lo storico Franco Cardini.
Arezzo – Selvaggina

I paesaggi toscani hanno il colore dei campi di grano, il profumo dell’olio e del vino, il sapore del pane appena sfornato, di piatti dalle tradizioni antiche.
Un nuovo modo per scoprire la Toscana è seguire gli Itinerari del Gusto, i percorsi alla scoperta delle eccellenze enogastronomiche e delle bellezze del territorio ideati da Artex nell’ambito del progetto Artour Toscana. Ad accompagnare i moderni viandanti, una guida speciale: lo storico Franco Cardini. Il professore presenta, tra aneddoti ed excursus storici letterari, i tre itinerari “La cucina di Arezzo“, “La cucina di Lucca” e “La cucina di Pisa“, che si aggiungono ai cinque percorsi dedicati alla Maremma: “L’oro giallo della Maremma“, “Vino olio e prodotti della terra maremmana: tra tradizione e innovazione“, “La Maremma Pisana“, “Massa Marittima e il Palazzo dell’Abbondanza“, “Suggestioni golose della costa maremmana“.

Lucca – Necci

Sul sito Artour Toscana (http://toscana.artour.it) ogni itinerario è illustrato attraverso una presentazione, l’elenco e le schede delle aziende agricole, degli agriturismi, dei frantoi in cui gustare i prodotti tipici, e una mappa che indica il tracciato e i luoghi di interesse.
Con la riapertura delle attività e la possibilità di spostarsi sul territorio, abbiamo l’occasione di riscoprire le nostre terre, ammirandone i paesaggi e le bellezze artistiche e assaporandone i prodotti e i piatti che affondano le radici nella tradizione – afferma il presidente di Artex Giovanni LamioniLe presentazioni del professore Cardini, che ringrazio per la partecipazione al progetto, non possono che invogliare ancora di più a scoprire le eccellenze dell’artigianato enogastronomico della Toscana, nel segno di un turismo lento, consapevole, sostenibile”.
Artex propone un viaggio in 8 itinerari e 50 aziende attraverso i sapori della Toscana, che sono il risultato di pagine di storia e intrecci di popoli: dai necci della Grafagnana ai tordelli (rigorosamente con la “d”) di Lucca, dalla torta co’ bischeri di Pisa alla scottiglia aretina, dalla birra con malto d’orzo di Bolgheri al vino Morellino di Scansano fino dal pane con grani antichi del Grossetano.

Pisa – Baccalà

Secondo l’ultimo “Rapporto sul turismo enogastronomico italiano” curato da Roberta Garibaldi e presentato in Senato il 6 maggio, la riscoperta di gusti e sapori è sempre più importante nella scelta della destinazione: se nel 2016 il 21% degli intervistati aveva svolto almeno un viaggio con principale motivazione legata all’esperienza enogastronomica nei tre anni precedenti, la percentuale è salita al 30% del 2018, al 45% del 2019 e al 55% nel 2020; l’anno scorso i turisti italiani hanno riscoperto l’Italia come destinazione, scelta quasi obbligata che ha determinato una voglia di approfondire la conoscenza del patrimonio di sapori territoriali e tra le mete la Toscana è nella top 5 delle preferite.

Lunedì Rai: Arezzo la città dell’oro

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Domani, lunedì 21 settembre, è Arezzo la protagonista della serie “Storia delle nostre città”.

Storia delle nostre città: Arezzo la città dell’oro
Un viaggio ad Arezzo è un atto d’amore verso la Toscana più vera, dove il rapporto tra uomo, arte e natura è ancora legato a scenari e atmosfere che richiamano un passato glorioso e indimenticabile.
Conosciuta nel mondo come Città della Giostra del Saracino, della moda, dell’oro, è stata sede della più antica università della Toscana e una delle prime al mondo. Un passato ricostruito da “Storia delle nostre città”, in onda lunedì 21 settembre alle 21.10 su Rai Storia. Arezzo è sempre stato il passaggio naturale per chiunque volesse attraversare l’Appennino Tosco-Emiliano e ha sfruttato proprio il suo essere crocevia di importanti arterie di comunicazione per diventare grande ed affermarsi in differenti epoche, mantenendo sempre il suo ruolo di protagonista. Qui sono passati etruschi e romani, longobardi e carolingi, fino ai Medici fiorentini e agli Asburgo Lorena. Qui hanno lasciato le loro impronte Petrarca, Piero della Francesca, Cimabue. E qui, ancora oggi, si sente vibrare il suono della storia e delle antiche tradizioni che da secoli si ripetono nella stessa maniera. Di origine certamente etrusca, fu conquistata dai Romani nel 311, che la battezzarono Arretium trasformandola in un’importante stazione militare sulla via Cassia. Nel periodo augusteo, la città continuò a prosperare divenendo la terza città più grande in Italia, nota per i suoi manufatti ceramici. Nel III-IV secolo, divenne sede episcopale ed è una delle poche città la cui successione di vescovi è conosciuta per nome senza interruzione fino ai giorni nostri. Durante il primo medioevo la città romana venne demolita dalle invasioni dei barbari e in parte smantellata per riutilizzare le pietre nella costruzione delle fortificazioni della nuova città. Dello storico passaggio di Roma rimase in piedi solo l’antico anfiteatro. Il comune di Arezzo abbandonò il controllo del suo vescovo nel 1098. Per tre secoli si mantenne come città-stato indipendente, di tendenza ghibellina, opposta ai Guelfi di Firenze. Dopo la disfatta della battaglia di Campaldino nel 1289, cedette definitivamente alla dominazione fiorentina nel 1384 e la sua storia fu “sommersa” da quella del Granducato mediceo toscano. Alla fine del XVIII secolo le truppe francesi guidate da Napoleone Bonaparte conquistarono la città che si trasformò però in una base di resistenza contro gli invasori. Nel 1860 Arezzo divenne parte del Regno d’Italia. Anche se diversi edifici della città subirono gravi danni durante la seconda guerra mondiale, i suoi monumenti, i parchi, i resti archeologici, le chiese e le piazze custodiscono ancora oggi i segreti di generazioni di aretini che hanno contribuito a costruire questa sorprendente città intrisa di magia e di infinita arte.

FAI – Luoghi del Cuore: Toscana, a Cortona (Ar) e Roccastrada (Gr)

a cura della Redazione

I Luoghi del Cuore 2018 FAI ci portano oggi in Toscana, nelle provincie di Arezzo e Grosseto.

Santuario Santa Maria delle Grazie al Calcinaio, Cortona (Arezzo)  – 656° posto con 30 voti
35422_santuario-santa-maria-delle-grazie-al-calcinaioIn questo luogo, nella domenica di Pasqua del 1484, un’immagine della Madonna col Bambino, dipinta sulla parete di una vasca adibita alla concia del cuoio e detta calcinaio per la calce viva usata a questo scopo, iniziò ad operare miracoli. Quell’immagine sacra è oggi visibile sull’altare maggiore, posizionato molto probabilmente sul luogo dell’antico tabernacolo. In seguito alla crescita di devozione, l’arte dei Calzolari, proprietaria della concia, decise di erigere un “sacro tempio”. Venne scelto come architetto Francesco di Giorgio Martini. Il Martini redasse il progetto già nello stesso 1484, poco dopo aver disegnato la chiesa di San Bernardino ad Urbino. I lavori ebbero inizio nel 1485 e già allo scadere del primo quarto del Cinquecento la chiesa aveva raggiunto, almeno all’esterno, la sua veste definitiva. Così ci appare infatti in un affresco del Papacello nel Palazzone Passerini di Cortona databile al 1525 circa, dove si vede innalzata anche la cupola disegnata dall’architetto fiorentino Pietro di Domenico di Norbo e realizzata a partire dal tamburo fra il 1509 e il 1514. La chiesa venne inizialmente affidata alle cure degli Scopetini, ai quali fu tolta nel 1653 per aggregarla al Seminario vescovile, riaperto proprio nei locali del soppresso convento adiacente alla chiesa. Richiuso il Seminario (1674), dopo un periodo di abbandono fu restaurata e risistemata dagli Scolopi che la riaprirono al culto nel 1730. Trasferitisi gli Scolopi in città (1777), il complesso fu restituito al Seminario, ma era un fardello troppo grande per le finanze dell’istituto. Così nel 1786 alla chiesa fu trasferito il titolo di parrocchia di San Biagio a Salcotto. La struttura della chiesa consiste in una navata affiancata da due cappelle laterali con un transetto e una cupola all’intersezione dei bracci del presbiterio. Martini la progettò applicando rigorosamente i principi architettonici della proporzione e della prospettiva cari all’architettura rinascimentale. Negli spazi risuonano echi albertiani, in un progetto che non è immune da assonanze con Brunelleschi, ma i disegni di Francesco di Giorgio sono assolutamente originali, al punto da rappresentare uno dei livelli più alti della sintesi degli spazi nel Rinascimento. Le ampie superfici esterne sono divise in linee orizzontali e verticali da modanature e pilastri e sono movimentate da finestre con timpani. Gli ultimi interventi procedettero più lentamente, tanto che il portale principale fu terminato nel 1543 e al 1549 risale l’esecuzione del pavimento (l’attuale è frutto di un recente rifacimento). Tutti i dipinti che si trovano nelle cappelle sono ispirate dall’iconografia mariana, dall’Assunzione all’Annunciazione, dall’Immacolata concezione ai vari ritratti della Madonna fra i santi. La preziosità di questo luogo, dichiarato monumento nazionale, implica un grosso impegno per preservarlo al meglio e conservarlo in buono stato. Per aumentarne la visibilità presso l’opinione pubblica, i cittadini della zona si sono mobilitati nel 2014, raccogliendo numerosi voti in occasione del Censimento Luoghi del Cuore. Grazie a tutte le segnalazioni oggi il Santuario può beneficiare di un intervento del FAI.

Cripta dell’Abbazia di Giugnano, Roccastrada (Grosseto) – 211° posto con 1982 voti
Cripta Abbazia di GiugnanoNascosta dalle ombrose fronde di un boschetto di lecci, la Cripta di Giugnano costituisce l’unica struttura superstite di un vasto complesso monastico dedicato al Salvatore le cui origini risalgono al secolo XI, precocemente decaduto e reso particolarmente affascinante dalla sua singolare collocazione e conservazione. Siamo in Maremma, a poca distanza dal Castello di Montemassi immortalato da Simone Martini nel celebre affresco conservato nel Palazzo Pubblico di Siena, e si può accedere alla Cripta attraverso un varco praticato nella volta, scendendo gli instabili gradini di una scala a pioli. Le bozze di pietra e i muretti sparsi in superficie per un raggio di circa 200 metri quadrati testimoniano come tutta l’area fosse in origine edificata e questo fa ricostruire approssimativamente l’impianto del primitivo edificio di culto, una chiesa ad aula o a croce latina, conclusa da un abside, orientata e larga quanto la cripta sottostante, cui probabilmente si affiancavano anche alcune strutture destinate alla vita comune del clero. Con la crisi del monastero, trasformato in grancia del monastero di S. Galgano a Montesiepi, queste andarono velocemente in rovina, tanto da non esser nemmeno menzionate nelle visite degli auditori granducali e dei vescovi, che del resto sembrano non conservarne neanche la memoria. Al totale degrado dei suoi edifici concorse la successiva frequentazione di queste zone, prima per una fiorente attività mineraria e metallurgica, poi agricola, probabilmente accompagnate da sistematiche demolizioni finalizzate al recupero del materiale da costruzione. La posizione appartata e le buone condizioni statiche hanno preservato nei secoli la cripta, che era in gran parte interrata fino all’intervento di restauro condotto alla metà degli anni Settanta. La cripta è costituita da un unico vano rettangolare, concluso a oriente da una grande abside e diviso in tre navatelle da quattro sostegni, sui quali s’innesta la copertura voltata, che alcune mensole raccordano ai muri perimetrali dell’edificio. Le volte, a crociera o di forma approssimativamente triangolare, delimitate e rinforzate da sottarchi, sono costituite da pietrame di varia natura, avvolto in un abbandonate letto di malta e nascosto in origine da un intonaco, di cui restano sporadiche tracce. La decorazione dei quattro sostegni contribuisce all’animazione plastica del vano, con colonne e pilastri di sezione ottagonale sormontati da capitelli variamente lavorati, dove gli scalpellini, con rude semplicità, hanno rielaborato antiche tipologie e adottato soluzioni innovative: un capitello presenta forme vagamente ioniche, due recuperano il repertorio vegetale dei prototipi corinzi, che combinano a nuove e misteriose raffigurazioni, l’ultimo infine, di forma cubica, sembra volutamente ignorare le tipologie canoniche per compiere un’autonoma ricerca estetica. La Cripta di Giugnano si inserisce, così, a pieno titolo nella cultura formale del primo romanico, che guarda e rielabora i modelli antichi sperimentando forme sempre nuove. Allo stesso ambito cronologico conduce la planimetria della cripta, concepita non più solo come ambiente di passaggio destinato ad accogliere le reliquie venerate, ma come spazio architettonicamente rilevante dove la comunità poteva sostare e pregare. In una fase successiva fu edificata l’aula che si trova a poca distanza dalla cripta, che ha caratteri architettonici gotici. Da tempo si parla di un nuovo restauro e di un percorso che colleghi Giugnano alle altre testimonianze che il Medioevo ha lasciato nel territorio di Roccastrada, ma l’intervento non è semplice. Qualcuno sostiene che l’unica soluzione sarebbe riempire nuovamente la cripta di terra per impedirne il collasso e consegnarla integra ai posteri, rimandando al futuro la scoperta delle fasi costruttive del monastero, della sua planimetria e delle molteplici attività che vi si svolgevano. Ma sarebbe davvero un peccato.

FAI – Luoghi del Cuore: Il Borro, Loro Ciuffenna (Ar)

a cura della Redazione

Il Borro, Loro Ciuffenna (Ar) – 609° posto con 77 voti
5193_il-borroImmerso in un paesaggio incantevole, in posizione strategica su uno sperone roccioso quasi inespugnabile che domina la valle dell’Arno, alle pendici del Pratomagno, sorge il borgo medioevale del Borro, frazione di Loro Ciuffenna in provincia di Arezzo da cui dista 20 km.
Qui, attorno all’anno Mille, fu edificato un castello a sorveglianza della via Setteponti, che ricalca il tracciato della strada consolare romana Cassia, che collegava i centri etruschi di Arezzo e Fiesole.
Le origini del centro abitato non trova sufficiente documentazione ma, con tutta probabilità il castello esisteva già nel periodo alto-medievale.
Roccaforte ghibellina, alleata di Arezzo nelle lotte contro la guelfa Firenze, passò nel 1254 dai Mascagni alla famiglia Dal Borro attraverso il suo capostipite Borro Borri. Girolamo Dal Borro fu medico e filosofo, esperto di lingue orientali, figura di spicco della cultura del Cinquecento.
18941_il-borroAlessandro Dal Borro, “il Terrore dei Turchi”, fu uno dei più grandi condottieri del Seicento, comandante della flotta veneziana contro gli Ottomani.
Nel 1344 la giurisdizione passò alla signoria di Firenze, un privilegio concesso dall’imperatore Carlo IV alla città di Arezzo dove il castello del Borro è segnalato come limite ultimo del distretto territoriale aretino dalla parte del Valdarno.
L’importanza del castello del Borro nel XIV secolo è testimoniata dal fatto che la vicina pieve di San Giustino iniziò ad essere denominata “San Giustino al Borro” e così anche il villaggio che vi si sviluppò intorno, oggi chiamato San Giustino Valdarno. Nel XVI secolo, il paese conobbe un incremento demografico e agricolo grazie all’interessamento del politico e condottiero Alessandro del Borro. Dopo la caduta dei Dal Borro, il borgo passò prima ai Medici, poi ai Torriani di Milano, agli Hohenlohe Waldemburg e dal 1904 ai Savoia.
18940_il-borroNel 1993 la tenuta del Borro, che coincide grossomodo con il nucleo antico del paese, fu acquistato da Ferruccio Ferragamo, che la trasformò in paese-albergo, dove si è sospesi fra un passato glorioso e un vivo presente di vini d’eccellenza, ha fatto un’oasi di pace nel cuore della più autentica campagna toscana.
CHIESA DI SAN BIAGIO
La chiesa di San Biagio, chiesa parrocchiale del paese, è documentata almeno fino al XIV secolo, quando è indicata come una delle sette chiese filiali della pieve di San Giustino. Ebbe successivamente il titolo di prioria e fu padronato dei Medici di Firenze. La chiesa conserva ancora la struttura originaria romanica, mentre all’interno si segnala la presenza di una tavola della Crocifissione del XVI secolo.