Santuario del Valinotto di Carignano: reportage per la serie “Restauri d’Arte”

Riceviamo e pubblichiamo
L’ultimo reportage sui “Restauri d’Arte” prima della pausa estiva è dedicato al Santuario del Valinotto di Carignano. I reportage sono voluti dalla Direzione comunicazione e rapporti con i cittadini e il territorio della Città Metropolitana di Torino.

La serie di reportage televisivi che la Direzione comunicazione e rapporti con i cittadini e il territorio della Città Metropolitana di Torino dedica ai “Restauri d’Arte” prosegue questa settimana con il filmato dedicato ad uno dei tesori architettonici della Città di Carignano, la cappella della Visitazione di Maria a Santa Elisabetta, comunemente conosciuta come  Santuario del Valinotto.
I filmati vengono messi in onda dall’emittente televisiva locale GRP sul canale 13 del digitale terrestre, ilvenerdì alle 19,45, il sabato alle 13,30 e la domenica alle 22,30.
Per visionare la playlist dei reportage video sinora pubblicati sul canale YouTube della Città Metropolitana di Torino e le fotogallery basta accedere al portale Internet della Città Metropolitana di Torino (cliccare qui).
Dopo 15 puntate realizzate a partire dal mese di marzo, la rubrica si concede ora una pausa estiva e ritornerà a documentare il bello del territorio e il grande lavoro per tutelarlo e farlo conoscere a partire da giovedì 2 settembre.

ALLA RISCOPERTA DI UN GIOIELLO DEL BAROCCO PIEMONTESE
A Carignano un gioiello dell’architettura sacra del barocco piemontese è tornato all’antico splendore, grazie ad un luminare dell’architettura, all’associazione Progetto Cultura e Turismo e al sostegno finanziario della Compagnia di San Paolo: si tratta della cappella della Visitazione di Maria a Santa Elisabetta, comunemente conosciuta come Santuario del Valinotto. Progettato da Bernardo Antonio Vittone ed edificato nel 1738 su di un terreno del banchiere carignanese Antonio Facio, il Valinotto è l’opera giovanile più significativa del Vittone, che nella fase di transizione tra l’età barocca e il neoclassico mostrava ancora un solido attaccamento agli insegnamenti dei maestri Guarini e Juvarra, ma anche del Bernini e del Borromini.
Quello che si ripercorre brevemente nell’ultima puntata dei Restauri d’Arte prima della pausa estiva è il recupero di uno di quegli edifici di culto tipici del XVII e del XVIII secolo annessi a grandi cascinali o posti al centro di borgate rurali: chiese o cappelle che offrivano alla comunità locale un luogo fisico e un simbolo di aggregazione e di identità, ancora sentiti nel XXI secolo. Il santuario del Valinotto spicca con il bianco del suo intonaco nel verde della campagna circostante.
Nelle giornate serene e limpide trova nel Monviso e nelle altre cime delle Alpi Cozie una  scenografia naturale impareggiabile, che ne valorizza le linee architettoniche. Il banchiere Facio fede edificare la cappella per i contadini dei suoi possedimenti, collocandola in un terreno appartenuto precedentemente ai padri Agostiniani di Carignano, i quali nel XVI secolo avevano costruito una chiesetta intitolata alla Madonna della Neve. Vittone volle inglobare nel nuovo santuario quella chiesetta, destinandola alla funzione di sacrestia.

Agostino Magnaghi

UN’ARCHITETTURA DI LUCE E DI PERFEZIONE GEOMETRICA
Come ha spiegato nell’intervista registrata per il reportage televisivo l’architetto e docente universitario Agostino Magnaghi, che ha curato la progettazione e la direzione del restauro, il santuario del Valinottoè collocato in una campagna che è un vuoto; un vuoto che però ha una storia molto antica ed è un museo di sé stesso. La corona delle Alpi Cozie e il Monviso sono fortemente interrelati con una chiesa che è un’opera magistrale. Il Valinotto è un esempio di un modo interessante di concepire struttura e decorazione. È un’architettura di luce, in cui l’illuminazione entra indirettamente, provenendo da camere di luce invisibili, che funzionano come lampade che rischiarano la parte interna dell’aula. In età giovanile Vittone studiò e osservò a Roma l’opera di Francesco Borromini, considerato l’ideatore delle camere di luce”.

Nelle contenute e austere dimensioni della costruzione, Vittone riuscì a racchiudere la perfezione geometrica, la luce evocativa, le intuizioni mariane e una serie di chiaroscuri strutturali e ascetici.
La pianta della chiesa è circolare e al suo interno è iscritto un esagono. La copertura è composta da tre volte sovrapposte, traforate e aperte, realizzate con un sapiente uso geometrico dei pennacchi. Sui sei piloni di base girano archi a pieno centro. Sul tamburo circolare sorge la cupola, sormontata da un cupolino detto lanterna. Dall’imposta della cupola partono sei archi a fasce che si intrecciano, formando un esagono, e un’altra cupola emisferica, che si apre su una cupola esterna e sulla lanterna. La copertura è quindi composta da tre strati sovrapposti e da una cupola sommitale. Dall’esterno sono chiaramente visibili i tre livelli, che conferiscono all’edificio una vaga somiglianza con le pagode orientali. La cappella-santuario del Valinotto è visitata ogni anno da migliaia di turisti e studiosi provenienti da tutto il mondo. È il bene-simbolo della comunità della grande pianura a sud di Torino: punto centrale degli itinerari del progetto Spazio di meraviglia: tra orgoglio civico e illusione barocca, sostenuto dalla Fondazione Compagnia di San Paolo.

Tommaso Carena

UNA RETE CHE VALORIZZA I BENI CULTURALI DELLA PIANURA A SUD DI TORINO
Come ha spiegato l’ingegner Tommaso Carena dell’associazione Progetto Cultura e Turismo Carignano, “i restauri finanziati dalla Compagnia di San Paolo con un milione di euro hanno riguardato sia gli affreschi interni, fortemente deteriorati dall’umidità, sia le murature esterne”.
Visitando il sito Internet www.carignanoturismo.org è possibile reperire informazioni sulle possibilità di prenotare visite individuali al santuario. La cappella è sempre aperta la domenica pomeriggio su prenotazione.
Una visita a Carignano può iniziare dal gioiello barocco del Valinotto, che impreziosisce la fertile campagna carignanese, ma non può che proseguire con un centro storico che propone un repertorio artistico e architettonico che spazia dal Medioevo al tardo Novecento, con un integrarsi armonico di piccoli e grandi edifici, che sanno restituire intatta la dimensione dello scorrere della Storia con la S maiuscola. A Carignano sono transitati eserciti e ambasciatori, re, conti, duchi e principi, vescovi e abati; e tutti hanno lasciato una testimonianza di sé. Le maestose opere del periodo barocco fanno di Carignano una meta imprescindibile dei percorsi internazionali.

Dal 1998 l’organizzazione di volontariato Progetto Cultura e Turismo promuove un turismo lento, vissuto al ritmo della passeggiata, per andare alla scoperta dell’arte e dell’architettura. I volontari carignanesi sono disponibili ad accompagnare i turisti nelle visite alla loro città e in numerosi Comuni del circondario. La presenza di un colto clero e di una nobiltà di antica schiatta, ha fatto sì che tra Carignano e Moncalieri agissero i maggiori architetti e artisti attivi in quasi tutti i cantieri della corte sabauda. Gli itinerari proposti o che il visitatore può comporre a proprio piacimento sono numerosi. Basta navigare nel sito www.carignanoturismo.org per accogliere le proposte oppure per decidere autonomamente il proprio itinerario. Il Progetto Cultura e Turismo opera in numerosi  Comuni della pianura a sud di Torino, attraverso accordi o convenzioni con amministrazioni locali, enti pubblici o privati, tra i quali i Comuni di Carignano, Castagnole Piemonte, Lombriasco, Moncalieri, Osasio, Pancalieri, Piobesi Torinese, Villastellone, Vinovo e Virle Piemonte. L’associazione collabora inoltre con gli Amici della Abbazia di Casanova di Carmagnola, gli Amici del Castello di Vinovo, le Pro Loco di Virle Piemonte e Lombriasco, l’organizzazione di volontariato Basso Lemina di Virle Piemonte, l’Arciconfraternita di Santa Croce di Moncalieri e la Confraternita di San Giovanni Decollato di Carmagnola.

“Restauri d’Arte”: il nuovo reportage dedicato a Palazzo Dal Pozzo della Cisterna

Riceviamo e pubblichiamo
Protagonista del nuovo reportage della serie “Restauri d’Arte” la sede aulica della Città Metropolitana di Torino.

La serie di reportage televisivi che la Direzione comunicazione e rapporti con i cittadini e il territorio della Città Metropolitana di Torino  dedica ai “Restauri d’Arte”  prosegue questa settimana con il filmato dedicato alla sede aulica della Città MetropolitanaPalazzo Dal Pozzo della Cisterna.
I filmati vengono messi in onda dall’emittente televisiva locale GRP sul canale 13 del digitale terrestre, il venerdì alle 19,45, il sabato alle 13,30 e la domenica alle 22,30.
Per visionare la playlist dei reportage video sinora pubblicati sul canale YouTube della Città Metropolitana di Torino e le fotogallery basta accedere al portale Internet della Città Metropolitana di Torino (cliccare qui).

Palazzo Dal Pozzo della Cisterna è iniziato un importante intervento di risanamento conservativo della facciata sul giardino:  un cantiere da tempo atteso e che ora entra nel vivo con un lavoro accurato su intonaci, cornicioni, cornici, altorilievi, timpani e altri elementi architettonici, nel pieno rispetto del valore storico e artistico dell’edificio. Il nucleo originario del palazzo, di proprietà del conte Flaminio Ripa di Giaglione, risale al 1675. Tre anni dopo, per desiderio della secondaMadama Reale, Maria Giovanna Battista di Savoia-Nemours, venne allestito il giardino interno. Nel 1685 il Palazzo passò alla famiglia Dal Pozzo della Cisterna, che diede avvio a grandiosi restauri.  Risalgono alla seconda metà del Settecento la ristrutturazione e  l’ampliamento, svolti per volontà del principe-mecenate Giuseppe Alfonso, con il coordinamento dall’architetto regio.
Venne ampliata la manica di ponente, furono costruiti gli appartamenti,  fu  risistemata la facciata, vennero costruite le scuderie e le divisioni murarie.  Vennero inoltre eseguite decorazioni in legno, stucco e ferro. Il barocco piemontese finì per convivere con il neoclassicismo, soprattutto negli interni.

Seguì un periodo di interruzione delle opere di decoro, che ripresero  solo nella seconda metà dell’Ottocento, in vista e a seguito del  matrimonio  tra  Maria Vittoria – figlia di Carlo Emanuele della Cisterna e ultima discendente della famiglia – e Amedeo di Savoia Duca d’Aosta,  celebrato il  30 maggio 1867. Il Palazzo diventò una vera e propria casa di rappresentanza, molto sfarzosa: vennero aggiunte nuove sale, i soffitti a cassettoni, le vetrate, le dorature, le tappezzerie in seta e le decorazioni delle stanze ad opera del pittore Augusto Ferri. Dopo la morte della principessa Maria Vittoria, Amedeo d’Aosta volle comunque completare il Palazzo.
Venne approvato il progetto per la costruzione della cancellata che circonda il giardino sulla via Carlo Alberto (che sostituì il vecchio muro di cinta) e quello per la ricostruzione dello scalone d’onore. Sempre a quel periodo risalgono alcune migliorie tecnologiche, come l’illuminazione a gas nell’ingresso e la sopraelevazione del terrazzo fra il cortile principale e il giardino. Negli anni successivi agli inizi del ‘900 furono effettuati solo interventi minori e nel 1940 i Savoia-Aosta vendettero l’edificio, ormai scarsamente utilizzato, alla Provincia di Torino, che ne fece la sua sede ufficiale a partire dal 1945. 

Gli architetti Claudio Schiari e Laura Garavoglia, rispettivamente dirigente e responsabile del procedimento del Dipartimento Territorio Edilizia e Viabilità della Città Metropolitana, stanno seguendo i lavori di restauro, che dovrebbero concludersi nel prossimo mese di ottobre.
Le fasi dell’intervento consistono in: analisi e rilievi preliminari degli intonaci e delle cromie originali, mappatura del degrado, razionalizzazione di tutte le canalizzazioni degli impianti,  realizzazione di protezioni di vetri, serramenti e pavimenti,  demolizione di intonaci, ricucitura delle murature, pulitura di tutte le superfici,  ripristino di tutti gli intonaci, iniezioni di maltine consolidanti, sostituzione di davanzali ammalorati, revisione di serramenti esterni e gelosie,  revisione di  parapetti e grigliati in ghisa, impermeabilizzazione e risanamento delle balaustre in conglomerato cementizio del terrazzo e del balcone.

“Restauri d’Arte”: Chiesa della Confraternita del Gesù a Tavagnasco (TO)

Riceviamo e pubblichiamo
Prosegue la serie di reportage televisivi voluti dalla Città Metropolitana di Torino: il nuovo appuntamento è con il filmato dedicato alla chiesa della Confraternita del Gesù a Tavagnasco.

La serie di reportage televisivi che la Direzione comunicazione e rapporti con i cittadini e il territorio della Città Metropolitana di Torino dedica ai “Restauri d’Arte” prosegue questa settimana con il filmato dedicato alla chiesa della Confraternita del Gesù a Tavagnasco.
I filmati vengono messi in onda dall’emittente televisiva locale GRP sul canale 13 del digitale terrestre, ilvenerdì alle 19,45, il sabato alle 13,30 e la domenica alle 22,30.
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Il progetto di restauro della chiesa della Confraternita del Gesù è iniziato nel 2014, anno in cui il Comune ha ottenuto dalla parrocchia di Santa Margherita, proprietaria dell’immobile, l’uso gratuito e trentennale dell’edificio. La chiesa della Confraternita del Gesù è un luogo caro agli abitanti di Tavagnasco, che hanno dato e continuano a dare il loro contributo ai restauri, attraverso un comitato dedicato, come ha raccontato nell’intervista per il reportage Elvira Franchino, responsabile della vicina parrocchia. La chiesa, edificata intorno al 1600, si affaccia sulla piazza principale del paese, tra la parrocchiale di Santa Margherita (nella quale si stanno portando avanti altri lavori di conservazione, tra i quali il recupero di un importante organo settecentesco) e la casa comunale.

La chiesa della Confraternita del Gesù è un edificio in stile barocco piuttosto particolare, come ha spiegato l’architetto Alessandro Gastaldo Brac, responsabile dell’Ufficio per i Beni culturali ecclesiastici della Diocesi di Ivrea. Tra i suoi elementi caratteristici figura un ballatoio che si affaccia sull’aula centrale, realizzato non in legno o in struttura mobile, ma in pietra e muratura.
Nell’iconografia recuperata si ritrova il senso delle confraternite, protese verso l’aiuto ai più poveri.
Tra gli elementi caratteristici vi è anche un bellissimo altare ligneo con colonne tortili, tutto  decorato in foglia d’oro e con una pala centrale; proprio nella pala centrale si può ancora vedere un foro causato, si dice, da una lancia durante gli assalti del periodo napoleonico, quando tutto venne smembrato e l’arredo interno perso.
Prima della presa in carico del Comune questa chiesa versava in stato di abbandono perché la Diocesi di Ivrea non riusciva a sostenerla. In seguito all’accordo è iniziata una fase di restauri fondamentale per la  conservazione  e valorizzazione finalizzata all’utilizzo pubblico e culturale.

Sono stati molti gli interventi portati a termine in questi anni: il rifacimento della facciata esterna, la  pavimentazione, l’inserimento di un riscaldamento a pavimento, il ripristino e il restauro degli infissi, il  ripristino di un palco che era già presente recuperando i gradini originali e integrando  quelli mancanti, l’altare  e l’apparato ligneo che fungeva un po’ da sipario.
La chiesa affaccia su una piazza pedonale che in questi anni è stata fortemente valorizzata, dalla pavimentazione all’illuminazione: una piazza unica nel Canavese e forse nel Piemonte, dove si può abbracciare con uno sguardo la chiesa di confraternita restaurata, la chiesa parrocchiale e le bellezze paesaggistiche che contornano il paese di Tavagnasco.

“Restauri d’Arte”: un reportage dedicato all’arte urbana a Torino

Riceviamo e pubblichiamo
Un reportage sui “Restauri d’Arte” dedicato all’arte urbana che arricchisce di nuovi simboli e significati l’antico casotto del dazio e il capolinea della metropolitana in piazza Bengasi a Torino.

La serie di reportage televisivi che la Direzione comunicazione e rapporti con i cittadini e il territorio della Città Metropolitana di Torino dedica ai  “Restauri d’Arte” prosegue questa settimana con il filmato dedicato all’arte urbana che arricchisce di nuovi simboli e significati  l’antico Casotto del  Dazio e il capolinea della Metropolitana in piazza Bengasi, al confine fra Torino e Moncalieri.
I filmati vengono messi in onda
 dall’emittente televisiva locale GRP sul  canale 13 del digitale terrestre, il venerdì alle 19,45, il sabato alle 13,30 e la domenica alle 22,30.
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UNA PUNTATA INSOLITA ALLA SCOPERTA DELL’ARTE URBANA DI PIAZZA BENGASI
La rubrica dedicata ai restauri d’arte fa tappa questa settimana in un luogo in piena trasformazione. Una trasformazione che parte da lontano e che ebbe una svolta nel 1912 quando la barriera daziaria di Torino venne spostata in direzione sud dalla vecchia barriera di Nizza (oggi piazza Carducci) a piazza Bengàsi, che per molti torinesi è e sarà sempre piazza Bèngasi. All’interno della nuova cinta daziaria aumentarono i servizi disponibili e anche i trasporti pubblici vennero estesi lungo le maggiori vie di comunicazione fino al nuovo confine della città: il tram della linea 7 arrivò per la prima volta all’Osterietta (borgata cresciuta attorno al nodo stradale delle vie Nizza, Vinovo, Passo Buole, Rocca de’ Baldi) nel 1911 e venne in seguito prolungato sino a piazza Bengasi, rompendo così l’isolamento del Lingotto e dando la possibilità agli abitanti di collegarsi con il centro.

Del quartiere di guardia del dazio (abolito nel 1930) resta oggi un edificio, in qualche modo sopravvissuto anche alla trasformazione più attuale: l’arrivo della metropolitana che consente, a distanza di circa un secolo, un analogo, ma rapidissimo collegamento con il centro città.
L’edificio, in attesa di restauro e di una nuova destinazione d’uso, è stato  fasciato da un telo bianco che ne ricalca il profilo, sul quale sovrasta, visibile da ogni lato della piazza, la M della metropolitana. Un’idea voluta dalla società  Infra.to che in questi anni si è occupata dei lavori della metropolitana e ha inteso così riconsegnare la piazza ai suoi abitanti. Ma non solo: l’ex casotto del dazio è stato letteralmente circondato dall’arte urbana in occasione dell’inaugurazione dell’ultima (per ora) stazione “Bengasi”.
L’arte che si respira nella piazza inizia dai corridoi sotterranei della stazione: oltre alle vetrofanie di Ugo Nespolo che caratterizzano ogni fermata della metropolitana, sono stati installati pannelli retroilluminati (lightbox) negli accessi nord ed est che vanno a formare  due gallerie, una delle quali ospita una selezione di opere d’arte tratte dall’archivio “Mai visti” del Centro arte singolare plurale, un progetto di valorizzazione di artisti irregolari e outsider curata dal settore Politiche sociali della Città di Torino. L’altra galleria è curata dall’area Giovani e pari opportunità e ospita in attualmente opere di giovani artisti, molti dei quali hanno contribuito anche ad un’ulteriore opera artistica questa volta in superficie. Intorno all’edificio fasciato corre infatti una pannellatura completamente ricoperta da opere di arte urbana. In particolare, i giovani artisti, coordinati dalle associazioni “Il cerchio e le gocce” e “Monkeys evolution” che curano il progetto MurArte, hanno dato vita a una vera e propria jam che ha raccolto intorno all’ex dazio importanti esponenti della street art, conosciuti su Instagram come @maceca.ct  @diego_federico_qp  @corn_79  @howlers.crew  @droufla @supe_mst @contemporary_paleolithic @shekoone e @ci_ma_a_a @mach505_ @abel.bael).

Al tema libero della jam si sono aggiunti i temi della metropolitana e della  mobilità sostenibile, ripresi in particolare da Marco Cimberle (Mach505) e Abel Costantino (AbelBael), che nel reportage hanno raccontato l’opera nella quale hanno unito i loro stili: è il serpente, con il suo  simbolismo vivificatore e il suo  forte legame con la terra e la natura ad essere scelto per rappresentare il mezzo di trasporto che più agilmente collega un punto all’altro della fitta rete umana cittadina. Il suo movimento sinuoso scompare e riappare dalla trama circostante, facendosi collante tra persone, culture e idee che portano innovazione  ed  evoluzione agli esseri umani in simbiosi con la natura che li nutre e li ospita. Una sinergia di simboli in cui i grafismi della linea metropolitana diventano radici e si fondono alla vegetazione, interpretando visivamente la profonda connessione che lega la natura alle tecnologie sostenibili. Ne viene fuori una  mappa  ideale  dove le fermate rappresentano i nodi di una rete che interconnette luoghi e persone, una rete che scorre sotto terra portando alla luce l’idea di una mobilità sostenibile.

Restauri d’Arte: il nuovo reportage su Santa Maria Assunta a Macello e i suoi affreschi

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Sono gli affreschi quattrocenteschi di Aimone Duce, il ciclo pittorico dedicato a San Vincenzo Ferreri, conservati nella cappella di Santa Maria Assunta in frazione Stella a Macello (TO), i protagonisti della nuova puntata della serie “Restauri d’Arte”.

La serie di reportage televisivi che la  Direzione comunicazione e rapporti con i cittadini e il territorio della Città Metropolitana di Torino dedica ai “Restauri d’Arte” prosegue questa settimana con il filmato dedicato agli  affreschi della Cappella di Santa Maria Assunta, detta comunemente Cappella di Stella, a Macello, nel Pinerolese. I filmati vengono messi in onda  dall’emittente televisiva locale GRP sul canale 13 del digitale terrestre, il venerdì alle 19,45, il sabato alle 13,30 e la domenica alle 22,30.
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GLI AFFRESCHI DI AIMONE DUCE E IL CICLO PITTORICO DEDICATO A SAN VINCENZO FERRERI
La cappella di Santa Maria Assunta, detta comunemente Cappella di Stella, dal nome della frazione di Macello in cui sorge, risale all’inizio del XV secolo ed è costituita da un presbiterio a pianta quadrata, sormontato da una volta a crociera e da una navata rettangolare. Gli affreschi che ne arricchiscono la parte interna risalgono al periodo tra il 1400 e il 1450. C’è anche una data certa, quella del 1429, anno a cui risale un ex voto della signora di Macello, Bena Solaro, raffigurante la Madonna in trono col Bambin Gesù tra le braccia. Prostrato in ginocchio ai piedi della Madonna è raffigurato l’adolescente figlio della committente.
Tra gli affreschi più antichi, quelli di Aimone Duce, pittore attivo nella prima metà del ‘400 alla corte dei Savoia-Acaia, che nel Pinerolese ha lasciato tracce della sua opera anche nella cappella di Missione a Villafranca Piemonte.
A partire dal 2010, grazie al contributo della Fondazione Compagnia di San Paolo e della Fondazione CRT e a una piccola compartecipazione della parrocchia, sono stati intrapresi i restauri delle pitture murarie.

L’ultimo intervento in ordine di tempo, quello relativo al ciclo pittorico di San Vincenzo Ferreri, è terminato solo un mese fa. Nel ciclo  è raffigurato il santo nell’atto di riportare in vita un infante quasi morto, mentre libera un’ossessa dal demonio e durante il sogno premonitore che lo porterà a decidere di dedicare l’ultima parte della sua vita all’attività di predicazione. La particolarità di questo ciclo di affreschi è data dal fatto che il santo, che predicò a Vigone agli inizi del ‘400, è raffigurato senza l’aureola: ciò fa pensare che l’opera fu realizzata prima della beatificazione di Vincenzo – che avvenne nel 1455 – e quindi in anticipo rispetto agli altri pittori che si dedicarono alla figura di San Vincenzo, quali Beato Angelico, Bellini, il Ghirlandaio e Tiziano. In attesa di un più dettagliato studio si può affermare, quindi, che gli autori degli affreschi sono almeno tre. I restauri sono stati realizzati dalla ditta torinese Lupo e Galli.

Castello di San Sebastiano da Po: il nuovo reportage sui “Restauri d’Arte”

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Nuovo appuntamento con i “Restauri d’Arte”, la serie voluta dalla Città Metropolitana di Torino: il filmato è dedicato al castello di San Sebastiano da Po.

La serie di reportage televisivi che la Direzione comunicazione e rapporti con i cittadini e il territorio della Città Metropolitana di Torino dedica ai “Restauri d’Arte” prosegue questa settimana con il filmato dedicato al castello di San Sebastiano da Po. I filmati vengono messi in onda  dall’emittente televisiva locale GRP sul canale 13 del digitale terrestre, il venerdì alle 19,45, il sabato alle 13,30 e la domenica alle 22,30.
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IL CASTELLO DI SAN SEBASTIANO DA PO, LUOGO BELLO E IMPERFETTO
Questa settima la rubrica dei restauri d’arte ci porta a San Sebastiano da Po, suggestivo Comune  nel cui territorio la Collina torinese incontra le prime propaggini del Monferrato. Nella frazione Villa, che è centro storico e  capoluogo, sorge il castello, le cui origini risalgono al X secolo, quando il paese faceva parte del Marchesato del Monferrato. I primi documenti relativi all’abitato di San Sebastiano lo pongono sotto la signoria dei Radicati. Nei secoli successivi San Sebastiano fu teatro delle guerre per la supremazia sul Piemonte, prima fra i Savoia e i marchesi del Monferrato poi tra spagnoli e  francesi. Le sorti del castello in quel periodo non sono documentate. È precisa, invece, la data del 1761, anno in cui il conte di San SebastianoPaolo Federico Novarina, incaricò l’architetto Bernardo Vittone, esponente di punta del barocco piemontese, di ristrutturare l’intero complesso, dopo averlo visto all’opera nella ristrutturazione dell’attigua  chiesa parrocchiale.

Luca Garrone, attuale proprietario del maniero, ha raccontato nell’intervista per il reportage che il periodo di massimo splendore per il castello fu quello  all’inizio del secolo XIX, quando vennero commissionati lavori ad alcuni dei più noti artisti del tempo. Pietro Bagetti, pittore ed architetto piemontese, affrescò la galleria, mentre nel 1810 Xavier Kurten, architetto paesaggista tedesco, disegnò il parco, che divenne presto campo di studio della Facoltà di Botanica dell’Università degli Studi di Torino. Nel parco è ancora presente un giardino all’italiana con un parterre di bossi e rose. All’epoca del suo massimo splendore, il castello ospitò fino a 3000 specie di piante e fiori. Oggi sono ancora presenti un frutteto (a ricordo dei medioevali pomari) e una serra a fianco del tempietto neoclassico, che ha la funzione di consentire l’accesso ad un’altra sezione del giardino.

La struttura che delimita il percorso che porta al parco è il tinaggio, un ampio locale dove venivano tenuti i tini contenenti l’uva dei vicini vigneti nella fase della fermentazione.
I recenti restauri del complesso sono merito della famiglia Garrone, che dal 1986 dedica tutte le proprie energie per mantenere e conservare al meglio il Castello.
Terminati il ripristino e il consolidamento di tutte le coperture, i restauri sono in continuo divenire.
Nei mesi di chiusura a causa del lockdown, sono iniziati i lavori nella stanza che ospita una meridiana a camera scura, un orologio solare orizzontale posto all’interno di un locale dalla cui parete, attraverso un foro, entra il raggio solare. L’orologio solare è composto dal quadrante rappresentato dal pavimento e dalla sola linea del mezzodì, quella delle ore 12 del tempo vero locale, che ha direzione Nord-Sud ed è giustamente detta meridiana.

Presto i lavori di restauro saranno conclusi e sarà possibile approfittare di una gita fuori porta per ammirare anche i gioielli storici e architettonici che sorgono nelle vicinanze: l’abbazia di  Vezzolano, quella di Santa Fede a Cavagnolo e, a soli 6 Km da San Sebastiano e nel territorio del Comune di Monteu da Po, l’area archeologica della città romana di Industria, con il foro e il tempio di Iside.

Torino: la chiesa di Santa Chiara il nuovo reportage sui “Restauri d’Arte”

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La serie “Restauri d’Arte”  voluta dalla Città Metropolitana di Torino si arricchisce di un nuovo reportage dedicato a un gioiello settecentesco che si trova nel cuore di Torino: la chiesa di Santa Chiara.

La serie di reportage televisivi che la Direzione comunicazione e rapporti con i cittadini e il territorio della Città Metropolitana di Torino dedica ai “Restauri d’Arte” prosegue questa settimana con il filmato dedicato alla  chiesa di Santa Chiara, gioiello architettonico settecentesco che sorge nel cuore di Torino, all’incrocio tra la via omonima e la via delle Orfane. I filmati vengono messi in onda dall’emittente televisiva locale GRP sul canale 13 del digitale terrestre, ilvenerdì alle 19,45, il sabato alle 13,30 e la domenica alle 22,30.
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LA CHIESA DI SANTA CHIARA TRA RESTAURI E COABITAZIONE
Il luogo di cui tratta questa settimana la rubrica dedicata ai restauri d’arte racconta una storia di indubbio fascino religioso e architettonico, che, da qualche anno, ha un legame forte con un  progetto di accoglienza e coabitazione portato avanti dai volontari del Gruppo Abele. Accompagnata dallo storico dell’architettura Edoardo Piccoli, la troupe della Direzione comunicazione e rapporti con i cittadini e il territorio della Città Metropolitana di Torino ha approfondito la storia della chiesa di Santa Chiara, uno degli spazi più affascinanti del Settecento torinese. Anche se probabilmente meno grandioso e monumentale rispetto alle chiese juvarriane, si tratta di un piccolo edificio, realizzato tra il 1742 ed il 1745 dall’architetto Bernardo Antonio Vittone, che rispondeva perfettamente alla funzione di chiesa del convento femminile di clausura delle Clarisse. L’edificio non aveva la necessità di essere particolarmente grande, poiché non doveva accogliere le folle delle chiese parrocchiali ma un pubblico più ristretto, legato per motivi devozionali a Santa Chiara o per motivi familiari alle monache del convento.

Si trattava però di uno spazio non semplice da progettare, perché collocato in un angolo della città piuttosto buio e con strade molto strette. La soluzione adottata dall’architetto Vittone fu quella di realizzare un edificio molto snello e alto, con proporzioni quasi gotiche, per riuscire a captare la luce dalla cupola, quasi sospesa su alcuni piloni, facendola entrare attraverso grandi finestre e colare come fosse un fluido fino a terra.
A questa chiesa esteriore aperta ai fedeli e alla città, si aggiunge, alle spalle dell’altare principale, uno spazio normalmente chiamato coro, ma più propriamente chiesa interiore, dove le monache passavano parte delle loro giornate: uno spazio per la quotidianità del convento, che oggi, in seguito all’abbandono delle Clarisse e al successivo insediamento di ordini religiosi non più di clausura, non è più consacrato.
Alla chiesa esteriore e a quella interiore si aggiunge un terzo spazio, forse quello più inatteso, ovvero un deambulatorio che corre intorno alla chiesa, all’altezza dell’imposta della cupola: un luogo luminosissimo, in grado di accogliere la luce per portarla all’interno dell’aula principale e accessibile alle monache che, pur non potendo entrare in chiesa, potevano affacciarsi dall’alto.

architetto Edoardo Piccoli

I restauri appena conclusi e articolati in più lotti sono stati sostenuti dalla Fondazione Compagnia di San Paolo, che ha inserito la chiesa di Santa Chiara nell’ampio progetto Edifici Sacri: un percorso di scoperta e meraviglia che si snoda tra le vie del centro storico torinese, tra i capolavori dell’arte e dell’architettura sacra.
Nel caso di Santa Chiara, i restauri hanno rivelato, se pur con qualche fenomeno di degrado, un edificio straordinariamente in buone condizioni. Scampata ai bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale, al di sotto delle ridipinture otto-novecentesche la chiesa ha conservato ancora le finiture del Settecento: colori molto chiari a marmorino nelle parti in stucco e la tinta grigio-blu incorporata nell’ultimo strato di intonaco. Si rivela così oggi l’aspetto originario della chiesa con alcune integrazioni dell’Ottocento come le dorature, o dei primi del Novecento come gli altari, sostituiti e realizzati ex novo dopo la riconsacrazione dell’edificio.
La riconsacrazione è avvenuta negli anni ‘30 nel Novecento quando è stata acquistata dalla Congregazione della Piccole serve del Sacro Cuore di Gesù, che ne è tuttora in possesso e che dal 2015 ha concesso chiesa e convento in comodato d’uso all’associazione Gruppo Abele fondata da don Luigi Ciotti.

Francesca Micheli – Gruppo Abele

«Da sei anni infatti – spiega Francesca Micheli, volontaria del Gruppo Abele che qui vive – questa struttura ospita un progetto di coabitazione: si tratta di un co-housing solidale per giovani che decidono di dedicare parte della propria vita all’accoglienza e alla condivisione degli spazi e del tempo, con altri giovani che si trovano in un momento di difficoltà. A questo si aggiunge l’ospitalità (anche se messa a dura prova negli ultimi tempi dalla pandemia) di gruppi scout che decidono di vivere un’esperienza di vita comunitaria e una forte apertura sul territorio per offrire ai ragazzi del quartiere spunti culturali. Sono proprio i giovani del co-housing, custodi di questo luogo, che si occupano di aprire la chiesa al pubblico e di animarla».

Cappella della Sindone protagonista del nuovo reportage “Restauri d’Arte”

Riceviamo e pubblichiamo
Nuovo reportage televisivo per la serie “Restauri d’Arte” voluta dalla Città Metropolitana di Torino. Al centro del reportage la Cappella della Sindone, un vero gioiello del seicento torinese.

La serie di reportage televisivi che la Direzione comunicazione e rapporti con i cittadini e il territorio della Città Metropolitana di Torino dedica ai “Restauri d’Arte” prosegue questa settimana con il filmato dedicato alla Cappella della Sindone, gioiello architettonico seicentesco nel cuore di Torino.
I filmati vengono messi in onda dall’emittente televisiva locale GRP sul canale 13 del digitale terrestre, il venerdì alle 19,45, il sabato alle 13,30 e la domenica alle 22,30.
Per visionare la playlist dei reportage video sinora pubblicati sul canale YouTube della Città Metropolitana di Torino.

LA CAPPELLA DELLA SINDONE RITROVA IL SUO ALTARE
Nella Cappella della Sindone sono terminati i lavori per il recupero dell’altare progettato da Antonio Bertola, rimasto l’ultimo testimone del rogo che 24 anni fa danneggiò gravemente il gioiello barocco progettato da Guarino Guarini.
Si conclude così un intervento di restauro strutturale e architettonico particolarmente complesso e impegnativo, che nel 2018 ha già consentito la riapertura al pubblico della cappella.
Sono serviti 333 giorni e quasi 11.0000 ore di lavoro, insieme ai contributi del Ministero della Cultura, della Fondazione Compagnia di San Paolo e della Fondazione La Stampa-Specchio dei Tempi, per recuperare l’altare commissionato dal duca di Savoia Vittorio Amedeo II e progettato dall’ingegnere e matematico Antonio Bertola tra il 1688 e il 1694 per accogliere la Santa Sindone, conservata nell’urna centrale dal 1694 al 1993.
Il suo impianto si adatta alla forma circolare della cappella e presenta due fronti: uno rivolto verso il Palazzo Reale e l’altro verso la cattedrale.

Simile a un gigantesco reliquiario, l’altare è in marmo nero di Frabosa – le cui cave sono state appositamente riaperte per sostituire il materiale danneggiato dall’incendio – arricchito da decorazioni e sculture in legno dorato che risplendono nella penombra dell’aula centrale.
L’intervento di restauro, affidato al Consorzio San Luca di Torino, progettato e diretto dall’architetto Marina Feroggio con la restauratrice Tiziana Sandri e gli storici dell’arte Franco Gualano e Lorenza Santa dei Musei Reali, ha restituito all’altare la sua immagine architettonica: sono state restaurate e integrate le parti lapidee e quelle lignee e ricollocati nella loro posizione originaria gli apparati decorativi scultorei, scampati all’incendio perché ricoverati nell’attigua sacrestia.
Come ha raccontato nella videointervista l’architetto Marina Feroggio, dopo quasi cinque lustri hanno ritrovato la loro collocazione sulla balaustra anche gli otto putti recanti i simboli della Passione e due dei quattro angeli custodi realizzati tra il 1692 e 1694 dagli scultori di corte  Francesco BorelloCesare Neurone.

Si è riusciti inoltre a ricomporre e ricostruire il meccanismo di scorrimento delle vetrate che servivano a proteggere la ferrata dorata all’interno della quale era custodita la cassetta contenente la reliquia.
Sono infine stati ricollocati gli apparati successivi rispetto alla composizione dell’altare. rappresentati da quattro lampade d’argento, dal tabernacolo settecentesco e dall’inserimento dei paliotti.
Con il passaggio del Piemonte in zona gialla la Cappella della Sindone e il suo altare sono così rientrati nel percorso di visita dei Musei Reali.
A breve, grazie a un progetto multimediale promosso dalla Consulta per la valorizzazione dei beni artistici e culturali di Torino, i visitatori potranno ricevere tutte le informazioni sul restauro e vivere un’esperienza coinvolgente attraverso un’applicazione mobile gratuita che utilizza la tecnologia della realtà aumentata, realizzata da Ribes Solutions e Visivalab.

LA STORIA DELLA CAPPELLA DELLA SINDONE
Fu il duca Carlo Emanuele I a commissionare nel primo decennio del Seicento la Cappella della Sindone all’architetto Carlo di Castellamonte per dare una sede definitiva alla prestigiosa reliquia, posseduta e custodita dai duchi di Savoia dal 1453 e trasferita da Chambéry a Torino nel 1578. Il progetto di Carlo di Castellamonte fu successivamente modificato dal figlio Amedeo e poi dal luganese Bernardino Quadri, al quale si deve la progettazione nel 1657 di un edificio a pianta circolare incastonato tra il palazzo ducale e l’abside della cattedrale di San Giovanni, sopraelevato al livello del piano nobile della residenza e funzionalmente collegato alla cattedrale da due scaloni.  Nel 1667 il cantiere fu affidato alla direzione di Guarino Guarini che, sul volume già costruito dell’aula, impostò una geniale struttura formata da tre archi alternati a pennacchi, capace di alleggerire la massa muraria e sviluppare in altezza la cupola: una immaginifica struttura diafana, costituita da un reticolo di archi sovrapposti e sfalsati, proteso verso il cielo e permeato dalla luce.  I lavori si conclusero undici anni dopo la morte di Guarini, nel 1694, quando la Santa Sindone venne collocata all’interno della cappella e deposta nell’altare centrale progettato da Antonio Bertola.

Restauri d’Arte: il nuovo reportage dedicato alla Cappella dell’Oratorio di San Filippo Neri a Chieri

Riceviamo e pubblichiamo
Sono i lavori nella Cappella dell’Oratorio di San Filippo Neri a Chieri, in provincia di Torino, i protagonisti del nuovo reportage creato per la serie “Restauri d’Arte” voluta dalla Città Metropolitana di Torino.

La serie di reportage televisivi che la Direzione comunicazione e rapporti con i cittadini e il territorio della Città Metropolitana di Torino dedica ai “Restauri d’Arte” prosegue questa settimana con il filmato dedicato alla cappella dell’Oratorio di San Filippo Neri Chieri. I filmati vengono messi in onda dall’emittente televisiva locale GRP sul canale 13 del digitale terrestre, il venerdì alle 19,45, il sabato alle 13,30 e la domenica alle 22,30.
Per visionare la playlist dei reportage video sinora pubblicati sul canale YouTube della Città Metropolitana di Torino e le fotogallery basta accedere al portale Internet della Città Metropolitana di Torino, alla pagina www.cittametropolitana.torino.it/speciali/2021/riflettori_restauri_arte/

LA CAPPELLA DELL’ORATORIO DI SAN FILIPPO NERI A CHIERI COME LA VIDE DON BOSCO
Nella cappella dell’Oratorio di San Filippo Neri è in corso un impegnativo restauro curato dalla Città di Chieri con il contributo della Regione Piemonte. Il luogo è caro ai chieresi e ai Salesiani perché tra quelle mura, in quelle stanze e in quei corridoi Don Bosco studiò dall’ottobre del 1835 al 1841, anno in cui terminò, a malincuore, il suo percorso di clericato, come egli stesso ricorda: “Mi tornò dolorosissima quella separazione; separazione da un luogo dove ero vissuto per sei anni, dove ebbi educazione, scienza, spirito ecclesiastico e tutti i segni di bontà e di affetto che si possono desiderare”. Il centro visite allestito al primo piano permette di scoprire la vita del Santo e l’ambiente chierese che fu il teatro della formazione di Don Bosco, attraverso un percorso multimediale e la parziale ricostruzione di alcuni ambienti della prima metà dell’Ottocento.
L’oratorio si presenta, chiuso tra la galleria di accesso al convento e la chiesa di San Filippo Neri, come un’aula a navata unica con pianta rettangolare, coperta da una volta a botte costolonata. Il presbiterio è absidato, con cupola e cupolino a pianta ottagonale. La prima edificazione dell’oratorio risale al 1695, come conseguenza dell’ampliarsi del convento e del suo collegarsi alla chiesa di San Filippo. Le opere vennero proseguite tra il 1763 e il 1772, su progetto dell’architetto Galletti. Nell’anno successivo la Congregazione dei Filippini decide di far realizzare l’altare in marmo dell’oratorio, ma la configurazione attuale risale alla fine dell’Ottocento, quando il professor Massoglia demolì il presbiterio e lo ampliò, rifacendo interamente la volta (decorata con affreschi) e l’orchestra.

Appartengono a questa fase di rifacimenti neo-barocchi gli stucchi dei fratelli Borgogno e del Gianoli. Dopo la chiusura del seminario, anche l’oratorio, come il convento, andò lentamente depauperandosi. Nel 1801, durante la dominazione francese, chiesa e convento passarono al Comune. Dopo la restaurazione, i padri Oratoriani tornarono in possesso degli edifici, ma nel 1819 chiusero il convento per mancanza di religiosi. Dal 1828 al 1949 l’edificio fu sede del Seminario Maggiore di Torino. Fu più volte parzialmente requisito per essere utilizzato come caserma e poi come carcere nel periodo della Grande Guerra. In seguito il convento fu acquistato dai padri Salvatoriani e successivamente ceduto al Comune.
Dopo la chiusura del seminario, l’oratorio subì un forte degrado degli intonaci dipinti e delle decorazioni a stucco, causato da dilavamenti e infiltrazioni di acqua piovana proveniente dalla copertura superiore, ora sanata, che, fortunatamente, non hanno intaccato la struttura della volta.  Non si evidenziano fratture né cedimenti significativi, mentre la superficie pittorica è  stata  interessata da un processo di erosione e impoverimento, in alcune aree più superficiale in altre più profondo. Anche l’altare purtroppo non è in buono stato di conservazione.
La pavimentazione nella zona presbiteriale risulta complessivamente in buone condizioni, mentre più critico appare lo stato conservativo della pavimentazione dell’aula, in cui si notano lastre fratturate, rappezzi cementizi e lacune.

I lavori di restauro, iniziati nel gennaio di quest’anno, mirano a restituire l’antica cappella all’aspetto di fine Ottocento. Attraverso analisi fisico-chimiche è stato possibile ricostruire l’originale impianto. L’intervento riguarda non solo l’apparato decorativo pittorico e quello a stucco, ma l’insieme della cappella, anche con il recupero impiantistico, finalizzato ad un utilizzo per eventi culturali di vario tipo. L’intenzione dell’amministrazione comunale è quella di dotare la città di una sala ad uso polivalente tornata agli splendori originali e attrezzata con i più moderni impianti tecnologici. Nella prima fase del restauro sono state ripulite le pareti affrescate, anche attraverso l’estrazione dei sali depositati sulla superficie. Sono state inoltre rasate le parti di intonaco mancanti in seguito a distacchi. Le decorazioni pittoriche sono in corso di ripristino. Nei casi in cui la pittura è completamente asportata si usa la tecnica dello spolvero, che consente  di riprodurre la decorazione con assoluta fedeltà all’originale. Le parti mancanti delle numerose figure di puttini sono invece ridipinte in modo non invasivo con la tecnica del puntinato o del rigatino, che permette di ricostruire il disegno evidenziando però l’intervento, nel rispetto dei dettami del restauro conservativo.

“Restauri d’Arte”: un nuovo reportage dedicato all’ex Monastero di Rivalta

Riceviamo e pubblichiamo
Nuovo appuntamento con la serie di reportage televisivi “Restauri d’Arte” voluta dalla Città Metropolitana di Torino. Questa settimana protagonista l’ex monastero di Rivalta.

La nuova serie di reportage televisivi che la Direzione comunicazione e rapporti con i cittadini e il territorio della Città Metropolitana di Torino dedica ai “Restauri d’Arte” prosegue questa settimana con il filmato dedicato all’ex monastero di Rivalta, che fa seguito a quelli realizzati  nella chiesa della Misericordia di Torino, nel complesso che a Carmagnola comprende la chiesa e il convento di Sant’Agostino, nella sede dell’Accademia di Medicina di Torino e nella chiesa di San Pietro in Vincoli di Cavoretto.
I filmati vengono messi in onda dall’emittente televisiva locale GRP  sul  canale 13 del digitale terrestre, il venerdì alle 19,45, il sabato alle 13,30 e la domenica alle 22,30.
Per visionare la playlist dei reportage video sinora pubblicati sul canale YouTube della Città Metropolitana di Torino e le fotogallery basta accedere al portale Internet della Città Metropolitana di Torino, alla pagina www.cittametropolitana.torino.it/speciali/2021/riflettori_restauri_arte/

DA MONASTERO A CENTRO DI AGGREGAZIONE SOCIALE E CULTURALE
L’ex monastero di Rivalta, insieme al parco annesso, occupa un’area di circa 12.000 metri quadrati. Collocato all’esterno delle mura dell’antico borgo medievale della città, lungo una diramazione della Via Francigena, il monastero, di cui si hanno notizie certe sin dall’XII secolo, era il simbolo di un potere religioso che faceva da contraltare a quello politico. Il complesso monastico raggiunse il suo massimo splendore tra il XII e il XIV secolo: affidato dapprima ai canonici di Sant’Agostino e dal 1254 ai Cistercensi, si articolava intorno al chiostro, luogo di vita comune, era dotato di spazi residenziali e di servizio alle attività dei monaci e di un parco con alberi secolari. L’abbazia sopravvisse tra alterne vicende fino al 1792, quando venne soppressa e venduta alla Compagnia di San Paolo. Diventò poi un pensionato delle suore di San Giuseppe e, dal 1909 al 1971, ospitò i Fratelli delle Scuole Cristiane. Nel 1971 fu ceduta al Comune di Rivalta, che ha intrapreso nel corso degli anni importanti interventi di recupero funzionale. Oggi l’ex monastero  ospita una scuola media, un centro per giovani, locali a disposizione delle associazioni e, nella cappella ottocentesca, una sala polivalente.

arch. Rosanna Bergese

Come ci ha spiegato l’architetto Rosanna Bergese, responsabile del Servizio lavori pubblici e ambiente del Comune di Rivalta, durante i lavori di rifunzionalizzazione della cappella ottocentesca a sala polivalente, eseguiti nel 2003 grazie a fondi europei, sono venuti alla luce i resti della chiesa abbaziale romanica risalente al XII secolo, demolita nel 1813 contestualmente alla realizzazione della nuova cappella. Grazie a un ulteriore cofinanziamento, questa volta della Compagnia di San Paolo, è stato possibile proseguire le indagini all’esterno del fabbricato e riscoprire tutte le strutture della chiesa antica: questo intervento ha evidenziato come l’edificio dell’XI secolo fosse già frutto dell’ampliamento di una prima chiesa ad un’unica navata forse anteriore al X secolo, preziosa testimonianza di una presenza religiosa antecedente alla costruzione del monastero stesso. Al termine dello scavo archeologico le strutture murarie rinvenute sono state consolidate, recuperate e rese fruibili al pubblico lasciando visibili, all’interno dell’ex cappella protette da una vetratura, le absidi di prima e seconda fase della navata centrale e le basi delle colonne polilobate di epoca romanica.

L’area esterna conserva a vista le murature originali dell’absidiola meridionale e della relativa pavimentazione in cocciopesto e ricostruisce l’andamento planimetrico della fase romanica. In età barocca il complesso monastico fu oggetto di importanti riplasmazioni, tra cui la realizzazione della manica meridionale utilizzata “a granaio”. Nel corso del XVIII secolo l’intervento più importante riguardò proprio il ridisegno di questa manica: il sobrio e nudo fronte di testata preesistente venne dotato di una nuova veste decorativa – probabilmente destinata a correre anche sulle facciate laterali, ma solo parzialmente realizzata – che la tradizione attribuisce alla scuola juvarriana. L’ultimo intervento di restauro in ordine di tempo eseguito sul complesso, ha riguardato la galleria interna e la facciata laterale settecentesca su piazza di tale manica e ha ricevuto un finanziamento della Fondazione CRT attraverso il bando “Cantieri diffusi” 2018. Questo intervento ha fatto emergere la presenza di un’arcata che doveva essere una balconata aperta tipo loggia di affaccio. Nel corso del 2021 saranno avviati anche i lavori per il restauro della facciata di testata, grazie a un ulteriore cofinanziamento della Fondazione CRT con il bando “Cantieri diffusi” 2020.