Giovedì Rai: il Duomo di Orvieto e gli Inca

Riceviamo e pubblichiamo

Domani, giovedì, 13 maggio, tra i programmi Rai: il Duomo di Orvieto per il “Viaggio in Italia” e gli Inca per la serie “a.C.d.C.”.

Il “Viaggio in Italia”: alla scoperta del Duomo di Orvieto
Un capolavoro dell’architettura romanico – gotica in Italia, la cui costruzione fu voluta da Papa Urbano IV per conservare la reliquia del Corporale legata al miracolo dell’Eucarestia avvenuto a Bolsena nel 1264. È il Duomo di Orvieto, ultima tappa umbra del “Viaggio in Italia”, in onda giovedì 13 maggio alle 12.00 su Rai Storia. Una visita “guidata” tra esterni ed interni della chiesa: dai dettagli della facciata gotica con polittico decorato a mosaico e bassorilievi alle statue bronzee degli evangelisti sopra i pilastri, dal rosone centrale attribuito all’Orcagna ai portali bronzei con scene della Bibbia. E ancora, le cappelle interne, gli affreschi di Luca Signorelli – in cui si sviluppa il tema della fine del mondo – e quelli di Ugolino di Prete Ilario, la tavola della Madonna dei Raccomandati di Lippo Memmi e il tabernacolo di marmo che conserva il reliquario contenente il Corporale insanguinato del miracolo di Bolsena. Obiettivo, infine, su alcuni momenti della processione del Corpus Domini per le vie di Orvieto.

“a.C.d.C.”: i figli del Sole. Gli Inca 
L’ascesa e la caduta di un grande impero andino; gli Inca. Le racconta l’ultimo dei tre episodi della serie “I figli del Sole”, in onda in prima visione giovedì 13 maggio alle 21.10 Rai Storia per “a.C.d.C.”, con l’introduzione del professor Alessandro Barbero. A partire dal quindicesimo secolo, Pachacutec, il fondatore dell’Impero Inca, a capo di un esercito di proporzioni impressionanti, inizia la conquista dei territori e si autoproclama figlio di Inti, il dio sole, dando origine ad una stirpe di natura divina. La religione è il fondamento della vita degli Inca ed è la chiave del potere sui popoli a loro sottomessi. L’arrivo degli spagnoli, però, segna la fine di un grande impero.

Umbria: Il Cammino dei Borghi Silenti

di Antonio Scafaro
Il racconto di una “camminata” in terra umbra seguendo un  percorso inaugurato appena terminato il lockdown. Un percorso tra Terni e Orvieto, una zona poco conosciuta dal turismo però molto suggestiva.

Camminare presuppone la presenza di quattro fattori: scarpe collaudate, zaino ergonomico, allenamento e buona compagnia.

I primi tre erano già stati rodati, il quarto era un’incognita perché non avevo mai camminato per più giorni con questi amici viandanti. È stata una scelta azzeccata, Alessio, Roberto e Silvio sono stati perfetti compagni di viaggio.
Ai primi di settembre mi hanno accompagnato in questo nuovo cammino, inaugurato subito dopo la fine del “Lockdown”.

L’ideatore, Marco Fioroni, guida escursionistica e grande camminatore, ha già percorso quasi trentamila chilometri a piedi e non ha ancora compiuto quarant’anni. Ha ideato questo percorso, racchiuso fra Terni e Orvieto, per l’amore verso la sua Regione e per far conoscere una parte dell’ Umbria meno battuta dal turismo.
Il cammino dei Borghi Silenti”, questo è l’appellativo che è stato dato a questo percorso, attraversa ben dodici borghi medioevali, alcuni quasi disabitati, altri seclusi, ma tutti in perfetto stato di conservazione. È un trekking ad anello di ottantasei chilometri in mezzo alla natura, si cammina alle pendici e sulle alture dei monti Amerini, si attraversano splendidi vigneti, boschi di castagno, di quercia, si incontrano infinite varietà di alberi, aceri, lecci, roverelle e altro ancora, si attraversano pascoli d’alta quota con mucche allo stato brado e,soprattutto il silenzio, è il protagonista assoluto.

Ti fa compagnia nelle lunghe e faticose salite, nei luoghi di storia, fra rovine di età romana e resti di civiltà etrusca, nelle assolate alture e nei freschi sentieri in boschi, dove il sole, timido, si intravede fra rari squarci di cielo che ricordano mestamente, al pellegrino, che non sta vivendo in una favola.
È un cammino di quattro o più giorni, che ti fa viaggiare nella storia, nella natura e nella ospitalità umbra. Quest’ultima è stata l’apice del gradimento di questo percorso, si fa un’escursione a ritroso nei puri sentimenti che tutti noi rimpiangiamo, come un ricordo dei passati decenni.
Nel popolo Umbro permane la gentilezza, l’amore per il prossimo, la generosità, il rispetto per l’ospite che, come nell’antichità era considerato sacro, ancora oggi qui è guardato con benevola fratellanza.
Non mi soffermo sulla descrizione delle tappe, né tantomeno sulla descrizione del cammino che, con bravura e competenza è già ben dettagliato nella guida e sul sito internet.

Permettetemi di indugiare un momento di tempo sui miei compagni di viaggio. Alessio, ventiquattro anni, la nostra mascotte. Come lui, anche Roberto e Silvio erano alla loro prima esperienza di cammino di più giorni. Ho letto nei loro occhi preoccupazione, ansia tipica dell’ignoto, del nuovo sconosciuto. A dire il vero una certa preoccupazione ce l’avevo anch’io, in particolare per Silvio, fermo da anni nella pratica dell’escursione a piedi, per motivi di lavoro.
Il tutto è stato però superato brillantemente dall’intesa che si è formata fin dal viaggio di avvicinamento alla meta. Sono stati bravi, ho trovato in loro amici, fratelli, camminatori instancabili, mai un lamento, né per il caldo, né per quelle che sembravano impossibili salite, con pendenze d’alta quota. Ci ha accompagnato per ottantasei chilometri la felicità, la gioia che nasceva ad ogni superamento di difficoltà, abbiamo camminato in quattro ma l’intesa era unica, una squadra perfetta come forgiata da anni di strada percorsa insieme.

Sono felice, ho trovato i miei compagni di viaggio ideali, con loro sento che potrò in futuro affrontare qualunque percorso e qualunque avversità,perché, come diceva Nietzsche, “Tutti i grandi pensieri sono concepiti mentre si cammina”.
Esorto dunque, quanti leggeranno questo articolo, a riprendere il controllo della loro vita, che si realizza tornando ai primordiali rapporti con la natura, alla prima sfida che la vita ci pone, fare i primi passi, perché il camminare, il contatto dei piedi e del corpo con la terra madre è come un piacevole viaggio che ci riporta nel grembo materno, il momento più magico, appagante e affascinate nella vita di ogni essere vivente.

Orvieto: quando nel bicchiere c’è la storia da bere

La Capra Enoica (Fabrizio Capra)

Orvieto Pozzo di San PatrizioDue volte ho visitato Orvieto e per ben due volte, recidivo, sono sceso in fondo ai 53,15 metri del Pozzo di San Patrizio, percorrendo tutti i suoi 248 gradini, dove ho trovato acqua, tanta acqua pensando che in superficie potevo trovare (e degustare) tanto, tanto buon vino.
Orvieto, è sicuramente uno dei luoghi più spettacolari esistenti, città appoggiata su una grande collina di tufo, fatta di strati argillosi che si sono succeduti nei secoli, grazie alle eruzioni dei vulcani Volsinii dove pioggia e vento ne ha modellato le forme, il tutto a partire dal Pleistocene. Viste da lontano, Orvieto e la rupe, offrono uno scenario da fiaba e ci regalano un  territorio da assaporare, osservare, godere, esplorare proprio come il suo vino, tanto è vero che la città umbra viene appellata “Terrae Vineate“.
Ma la bellezza di Orvieto non sta solo nella grande imprevedibile arte di madre natura ma, anche, nella prolifica mano dell’uomo che ha saputo creare opere di grande rilievo come il pregevole Duomo, i cui lavori furono avviati nel 1290, e il già citato Pozzo di San Patrizio, costruito tra il 1527 e il 1537: un esempio di rispettosa simbiosi e integrazione tra natura e opera umana.
E il vino che porta il nome della città ne è un simbolo indissolubile, un vino che racchiude le caratteristiche di questo territorio complesso e ne è la bandiera: dal Classico rotondo e gentile a quello Superiore deciso e aristocratico, dalla vendemmia tardiva al Muffa Nobile così raro, unico e coinvolgente come un sogno, proprio come la città di Orvieto.
E allora quando si prende tra le mani un bicchiere di Orvieto, bisogna provare a chiudere gli occhi per immaginare attraverso il profumo e il sapore di questo vino, il passare di secoli di storia che ci accompagnano nella visita della città: Etruschi, Romani, Medioevo, Papi e Re ma bisogna anche essere consapevoli che si sta vivendo una grande culla di cultura storica, artistica ed enoica capace di un altrettanto grande coinvolgimento in quanto unica e irripetibile emozione.

orvieto vignetiCURIOSITÁ
Un vino dalla grande fama e valore: ricoprì un ruolo importante durante l’edificazione del Duomo orvietese; in particolare due pittori scelsero il vino come paga per i propri lavori: nel contratto del 1496 tra l’Opera del Duomo e il Pinturicchio venne concesso all’artista “sei quartenghi di grano per ogni anno… e il vino necessario” ovvero quanto ne sarebbe riuscito a bere.
Luca Signorelli dall’Opera, nel 1500, per gli affreschi della Cappella di San Brizio, ottenne ogni anno 12 some di vino (circa mille litri).
L’Orvieto è stato definito il “vino dei Papi”: Paolo III Farnese ne era particolarmente attratto mentre Gregorio XVI Cappellari diede disposizione affinché  il suo corpo fosse lavato con questo vino prima della sepoltura.
Tra il 1347 e il 1349, durante la costruzione del Duomo, i Maestri che lavoravano nella cava di Monte Piso per estrarre e sbozzare la pietra di travertino ne acquistavano periodicamente delle quantità, insieme alle ciotole e panatelle per berlo. Ricordiamo anche i “rumori”, ovvero le proteste, che le maestranze sollevavano per averne della quantità a gratis. Infine gli orari di lavoro prevedevano soste sia a metà mattinata sia a metà pomeriggio per bere del “mistu”, parrebbe un miscuglio di acqua e vino.
Il vino di Orvieto fu usato, anche, da Giuseppe Garibaldi e dai suoi Mille, prima di lasciare il porto di Talamone, per brindare all’avventura siciliana.
Questi, invece, alcuni nomi etruschi attribuiti ai contenitori per il vino e rinvenuti in una necropoli sotterranea ed esposti al Museo Archeologico Nazionale e al Museo “Claudio Faina”: stamnoi, krateres, skyphoi, kantharoi, kilikes, oinokoai.
Sempre nel Museo Archeologico è visibile un affresco proveniente da una tomba etrusca dove si evidenzia come il vino faceva già allora parte della vita quotidiana dell’epoca.

orvieto cantineLA STORIA
L’Orvieto è un vino che si perde nella notte dei tempi: si afferma che furono gli Etruschi a scavare le prime grotte di tufo per farne delle cantine distribuite su tre livelli: nel primo livello l’uva veniva pigiata e trasformata in mosto e colava, attraverso delle tubature di coccio, nel secondo livello, avveniva la fermentazione e la successiva svinatura; nel terzo livello il vino maturava e veniva conservato. E la fama di questo vino arrivò fino nell’antica Grecia trovando  menzione in un testo, che inizialmente fu erroneamente attribuito ad Aristotele, dove si cita la città etrusca di Velzna che potrebbe corrispondere all’antica Oinarea che, etimologicamente, significa “la città dove scorre il vino”.
Successivamente, divenne il vino dell’Impero Romano (che lo esportarono anche nelle lontane Gallie) e poi dei Papi, che a lungo hanno risieduto nella città.
Il medioevo è ricco di testimonianze: nel 1192 il Comune concesse esenzioni dalle tasse per chi avesse piantato viti; attorno al 1200 i Consoli nel loro giuramento si impegnavano anche a proteggere le vigne; la “Carta del Popolo” prevedeva le pene da applicare a chi deturpava le vigne altrui e nel 1295 i Consoli nominarono i “Custodi delle Vigne” con il compito di controllare le piantagioni, la produzione e l’andamento delle attività nei vari periodi dell’anno. Un documento datato 1304 riporta tutti i tipi di vino presenti in Orvieto e le relative tasse, evidenziando naturalmente il protezionismo verso il vino locale e l’interesse della città a favorirlo rispetto a quelli di fuori.
Nel 1931 fu delimitata la zona di produzione, nel 1958 si costituì il Consorzio del Vino Tipico di Orvieto che nel 1971, con il riconoscimento della Doc, trasformò la propria denominazione in Consorzio Tutela Vino Orvieto, infine dal 1997 è possibile produrre l’Orvieto con qualifica di “Superiore”.

Orvieto panoramaORVIETO DECANTATO
Saxum per nubila coeli surgit” (sasso che si erge verso le nubi al cielo): così un poeta orvietano declamò nel duecento scrivendo della sua città.
A fine 1600, Pasquino, nella sagace e divertente petizione presentata a Papa Paolo V Borghese il giorno dell’inaugurazione dell’acquedotto romano all’Acqua Marcia disse:
il miracolo è fatto, o Padre Santo,

con l’acqua vostra che ci piace tanto;
ma sarebbe il portento assai più lieto,
se l’acqua la cangiaste in vin d’Orvieto.
Giuseppe Gioachino Belli nel suo sonetto del 1835, Regole contro l’ubriacature, sottolinea come il “bianco di Orvieto” fosse considerato “il vino delle grandi occasioni”.
L’ufficiale garibaldino Giuseppe Bandi, segretario particolare del generale, narrò: “La mia comparsa fu salutata con un grido dagli amici e da quell’ottimo uomo del Generale. Mi fé cenno di avvicinarmi a lui e porgendomi un bicchiere colmo di vino d’Orvieto mi disse: bevete anche voi alla buona fortuna d’Italia“.
Anche Sigmund Freud in una cartolina spedita alla moglie nel 1897 scrisse, definendo il vino, “famoso” e “simile al Porto”, un accostamento un po’ curioso ma che ne evidenzia, probabilmente, le caratteristiche di una volta.