La Capra Enoica (Fabrizio Capra)
Oggi per la rubrica curata da La Capra Enoica si parla di Pignoletto, vino tipico e caratteristico della provincia di Bologna e Modena, degustato nella sua versione più recente, brut.
“Il poeta ha dei segreti che non dice con nessuno
sono formule di sogno che gli fan vendere fumo
con quell’aria un po’ sorniona, privilegio dell’artista
ama i gatti, beve vino, scorda il conto del dentista.”
Oggi, dopo un venerdì di assenza (che sicuramente mi perdonerete ma ero in trasferta in terra emiliana), scomodo uno dei miei cantautori preferiti, un artista che ci ha lasciato canzoni fantastiche e scoprirete nel leggere l’articolo perché cito proprio lui: la canzone è “I poeti” brano nato dalla mente del grande Pierangelo Bertoli.
Il vino di cui disserterò è il Pignoletto che recentemente ho degustato ampiamente nella sua versione (che molto mi si avvicina) brut e prodotto con uve Grechetto Gentile.
PILLOLE DI STORIA
La sua presenza sul territorio che oggi identifichiamo come bolognese e modenese risale all’antichità. Un certo Plinio il Vecchio (ciao Plinio, dopo qualche articolo dove non ti citavo… bentornato) nel I secolo d.C. racconta, nella sua Naturalis Historia, di un vino denominato “Pinum Laetum” (che letteralmente si dovrebbe tradurre in “Tra il Pino”… attendo smentite da latinisti molto più colti di me, però nella versione pliniana potrebbe significa “poco dolce”). Plinio questa volta non è stato buono con il vino affermando: “non dolce abbastanza per essere buono” e pertanto non apprezzato dagli antichi romani che amavano il vino molto dolce, vini a cui mescolavano spezie e miele (nessuno è perfetto).
Si farebbe, però, risalire i primi impianti di queste viti ai coloni Greci che arrivarono in Italia nella Magna Grecia e un “dna” simile al Grechetto di Todi ne dimostrerebbe l’origine e la parentela.
Il Pignoletto lo si trova nel bolognese sotto questa denominazione in documenti risalenti all’incirca alla metà del XVI secolo. Tra il 1600 e il 1800 era in voga l’attività della Compagnia dei Brentatori che svolgevano il servizio di trasporto del mosto (in contenitori di legno portati a spalla chiamati brente) dalle colline dove l’uva veniva prodotta e pigiata alle case, sia popolari sia palazzi aristocratici, in città.
Fino agli anni ’60 c’era ancora l’usanza del vino fai-da-te poi piano piano le aziende si sono attrezzate e hanno iniziato a vinificare e imbottigliare in loco, fino ad arrivare oggi a grandi cantine come la cooperativa Cantine Riunite & Civ grande realtà vinicola emiliana.
I RICORDI

fotozoommodena
I miei ricordi su questo vino sono recentissimi, risalgono a… venerdì scorso.
Mi trovavo in quel di Modena per un grande evento, il Premio Pierangelo Bertoli (ecco svelato l’arcano della citazione iniziale) e durante il catering, servito da due simpaticissimi “somministratori di bevande” con i quali abbiamo dialogato a lungo, ho degustato (prima) e ampiamente bevuto (durante e dopo) il Pignoletto Spumante Brut, versione relativamente recente di questo vino, un vino che mi ha preso, cullato, avvinghiato, coccolato, stuzzicato… proprio come le canzoni di Pierangelo Bertoli, vere e che arrivano direttamente, senza dover fare troppi giri di parole (sempre per citare Bertoli in “Canzoncina”… “Senza l’ambiguità dei parolai e le culture fatte di bugie…).

Riccardo Benini e Alberto Bertoli – fotozoommodena
Mi sono trovato, quindi, al cospetto di un vino che potrebbe essere tranquillamente paragonato a una poesia, a una melodia, a una canzone.
Questo piacevole ricordo recente difficilmente me lo toglierò dalla mente e se ho potuto viverlo lo devo a un amico di lunga data con il quale, per quasi trent’anni, ci siamo persi, Riccardo Benini, e un nuovo amico (se mi permetti di chiamarti così nonostante la recentissima prima frequentazione), Alberto Bertoli.
Tutto non nasce mai per caso: buona musica e buon vino uniscono sempre!
ORIGINE DEL NOME
Come scrivevo nelle pillole di storia Plinio il Vecchio citava il “Pino Lieto” e pertanto molti fanno risalire l’origine del nome a questo vino.
Parrebbe, però, che non vi sia alcun riscontro tra quanto citato dal poetico Plinio e l’attuale Pignoletto mentre prende piede la versione la cui origine del nome “Pignoletto” derivi dalla tipica forma dell’acino molto simile a una piccola pigna.
C’è chi azzarda una origine dall’aggettivo “pignole” che veniva dato a queste uve poco avvezze, nei secoli scorsi, alla trasformazione in vino.
PENSIERO… MEDITATIVO
Ed eccomi alla mia fase dissacratoria.
Tralascio il fatto che anche per il Pignoletto si è resa necessaria una preventiva visita
dal fruttivendolo per annusare e assaporare pesca bianca, pompelmo, zenzero, cedro, ananas, mandorle e agrumi… mi sto rendendo conto che i vini sono antesignani dei tanto di moda oggi centrifugati… si sente di tutto in un vino!
Ma non ci si ferma perché aggiungiamo i sentori di camomilla, fieno ed erba, pepe bianco, gelsomino, mughetto, basilico.
C’è chi lo trova intenso ma elegante, floreale ma con note di frutta.
Alcuni ci mettono in guardia: attento non aspettarti un vino complesso o profondo ma vini sottili, molto freschi e beverini, addirittura non pesante, digeribile, ordinario e leggero.
Ma vorrei dare un premio a chi nel definirlo ci ha visto un inseguirsi di paesaggi e sentori, di luce e ombra, di calore e freschezza… i casi sono due: o ne ha bevuto troppo oppure di quell’erba di cui scrivevamo prima non è stato ben specificato il tipo e a che effetti poteva portare.
AFORISMA DELLA SETTIMANA
“Chi non ama le donne, il vino e il canto, è solo un matto non un santo”. Proverbio tedesco
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