Lo chef Michele Rizzo dell’Agorà di Rende nominato Ambasciatore del Gusto

A cura della redazione 

Una bellissima notizia evidenzia quella Calabriaoperosa e di qualità che si afferma sempre di più e che in questa occasione si riconosce nel valore di un suo talentuoso operatore della ristorazione: un’altra gemma va infatti ad impreziosire il percorso già lastricato di successi dello chef Michele Rizzo, unico cuoco calabrese ad essere annoverato quest’anno nel empireo dell’associazione Ambasciatori del Gusto.

L’annuncio è stato dato nel corso dell’Assemblea annuale dell’Associazione, svoltasi in Trentino in occasione dell’evento annuale Futura.

Dei 32 nuovi ingressi del 2023, il dominus del ristorante Agorà di Rende si affianca così agli illustri colleghi calabresi che lo hanno proceduto in questa importante esperienza di ambasciatore dell’enogastronomia italiana.

Tra gli obiettivi degli Ambasciatori del Gusto vi è, infatti, quello di consolidare e valorizzare la cultura agroalimentare ed enogastronomica del nostro Paese, da perseguire in uno spirito di collegialità e mutua condivisione di valori che si richiamano alla qualità, alle tradizioni e alla conoscenza, promuovendo sul territorio nazionale ed estero i prodotti italiani e il Made in Italy.“Ringrazio il presidente nazionale Alessandro Gilmozzi e il consigliere Gianvito Matarrese, insieme a tutti i componenti del direttivo, che hanno inteso accogliermi in questa splendida realtà associativa – ha dichiarato a caldo lo chef Michele Rizzo -. Sono davvero onorato di ricevere questa carica, che dedico alla mia famiglia e a quanti collaborano con me, perché è grazie al contributo di un team valido come quello dell’Agorà che oggi posso fregiarmi di questa prestigiosa nomina. Un conferimento che rappresenta un riconoscimento della mia opera, ma soprattutto un piacevole obbligo a proseguire con maggiore entusiasmo e impegno la mia attività quotidiana, di cuoco e di imprenditore di un ristorante che promuove la buona cucina e che sostiene la crescita umana e professionale di giovani e validi operatori. La consapevolezza di appartenere ad un’associazione così nobile, che valorizza il mondo della ristorazione e della gastronomia italiana, e il far parte di un gruppo di illustri professionisti della cucina italiana, tra cui alcuni carissimi amici e colleghi calabresi, stimati professionisti e testimoni brillanti di una ristorazione di altissima qualità, mi responsabilizza e motiva a rappresentare con ancora più forza la mia amata Calabria, regione ricca di materia prima di altissima qualità e pregna di una tradizione culinaria ancora tutta da riscoprire e valorizzare”.

La cucina trentina in un libro edito da Laterza

Riceviamo e pubblichiamo
Grazie alla delegazione di Trento dell’Accademia Italiana della Cucina è stato presentato ieri, sabato 14 dicembre il libro edito da Laterza “Alimentazione e arte della cucina. L’esperienza del Trentino.

mockup_Alimentazione e arte della cucinaÈ stato presentato ieri, sabato 14 dicembre, al Grand Hotel Trento il volume edito da Laterza, dal titolo Alimentazione e arte della cucina. L’esperienza del Trentino a cura di Giuliano Di Bernardo e Marta Villa, che raccoglie gli atti del convegno “La tradizione gastronomica trentina dal Concilio di Trento al giorno d’oggi: prodotti e preparazioni” promosso a settembre 2018 dalla Delegazione di Trento dell’Accademia Italiana della Cucina in occasione del 50° anno della sua fondazione.
L’alimentazione e l’arte della cucina sono da sempre materia del pensiero umano: gli alimenti e la loro ars combinatoria richiamano aspetti alchemici, saperi tradizionali, innovazioni che rendono ogni piatto un misterioso prodigio. L’Italia e, in particolare, il Trentino possiedono un inestimabile patrimonio alimentare, materiale e immateriale, che si è evoluto nei secoli e ne ha contraddistinto la cultura. Leggendo questo libro è possibile assaporare i banchetti di epoca rinascimentale ed esplorare, in una nuova e coerente rilettura, la cucina barocca attraverso la sua narrazione pittorica, le mode alimentari del XVIII e XIX secolo e i ricettari delle famiglie borghesi. Non mancano infine pagine dedicate alla scienza dell’orticoltura e della viticoltura, sottoposta ad antichi e nuovi cambiamenti climatici, e alle prospettive dell’alimentazione del futuro.
Il libro, 117 pagine, è in tutte le librerie d’Italia e costa 15 euro. Un veicolo importante della divulgazione della cucina trentina a livello nazionale, reso possibile dalla Delegazione di Trento dell’AIC, come detto.
Alimentazione e arte della cucina«Il convegno – spiega il delegato Stefano Hausersi è svolto nel corso di una giornata ed è stato un viaggio attraverso i secoli, tra Umanesimo e Rinascimento con l’età del Concilio, tra Sei e Settecento seduti alla tavola del Barocco e Rococò, tra il Sette e Ottocento fino a giungere all’alimentazione di oggi con i suoi risvolti sociologici. Un viaggio non solo in cucina ma anche nella viticoltura trentina, dalla piccola glaciazione medioevale all’attuale crisi climatica, e nell’evoluzione di orti e coltivazioni tra il passato e presente. Lo scopo era quello di mostrare la complessità e le diverse sfaccettature della cucina trentina non solo sul piano storico ma anche in prospettiva futura. Con la pubblicazione degli Atti, s’intende fornire ulteriore stimolo a più ampi e approfonditi lavori di ricerca per tutelare la tradizione culinaria, adempiendo così al compito istituzionale dell’Accademia Italiana della Cucina, più volte ribadito dal presidente nazionale».
Tutto ciò anche per comprendere meglio un patrimonio di esperienze e di un sapere condiviso, che negli ultimi decenni si è sedimentato nella cultura alimentare del trentino, che richiede indagini scientifiche con approfondimento delle singole tematiche.
Il lavoro, frutto di una coralità di contributi, si è avvalso della collaborazione di personalità di primo piano della cultura e dell’università di Trento.

ACCADEMIA ITALIANA DELLA CUCINA
Fondata nel 1953 a Milano da Orio Vergani, da più di sessant'anni l'Accademia, organizzata in Delegazioni territoriali - a oggi 218 in Italia e 68 all'estero (cui vanno aggiunte le 10 Legazioni), con circa 7.500 associati - lavora intensamente alla valorizzazione, alla ricerca e all'ampliamento della conoscenza della cultura gastronomica italiana. Per consegnare alle nuove generazioni un patrimonio culturale, che oltre ad essere espressione delle origini della propria terra, è arricchimento personale, ricerca della qualità, conoscenza della storia, della formazione della cucina locale, dei suoi contatti e contaminazioni con altre culture, della selezione, della scelta dei prodotti tipici di ogni regione, paese, villaggio.
L'Accademia si ritiene, a giusto titolo, l'alfiere della Civiltà della Tavola, unica istituzione intenta da ormai sessant'anni, a propugnare la preminenza della cultura gastronomica sull'avvilente commercializzazione del cibo e su ogni forma d'ignoranza alimentare, attraverso un'intensa attività culturale condotta e realizzata con grande spirito di servizio, disinteressato ed impegnativo. Questo lungo cammino, percorso in totale autonomia, incurante delle lusinghe e delle sollecitazioni esterne, ha fatto sì che l'Accademia conservasse intatta la propria origine culturale, espressa dai suoi Fondatori, che erano personalità di primo piano nella cultura italiana del tempo.
Nel 2003, il Ministero per le Attività e i Beni culturali ha riconosciuto i meriti culturali, ampiamente documentati, dell'Accademia, conferendole il titolo di "Istituzione culturale", ponendola, quindi, tra le più grandi e importanti realtà culturali italiane, portatrici di esperienza e di saggezza in molti campi della cultura.
È l'unica Associazione gastronomica italiana presente in tutto il mondo.

 

 

Fritto misto piemontese… ma non di pesce!

di Novellus Apicio

smeralda-2Inizio questo mio primo articolo con il proporre due parole e provate d’istinto ad accostarle a un qualcosa che sovviene nella vostra mente.
Fritto Misto e Monferrato.
Sicuramente il termine “Fritto Misto” vi porta immediatamente a un bel ristorantino sul mare e a un piatto caldo croccante e profumato composto da pesciolini, anelli di calamari, ciuffi di moscardini, gamberi, ecc. ecc.
E “Monferrato”? Sicuramente alle belle colline che si snodano tra le province di Alessandria e Asti ricche di storia e cultura, coperte di armoniosi vigneti o impervi boschi.
Ora abbino le due parole e vi parlo  di  “fritto misto” come piatto tipico delle colline del “Monferrato”.
Per i non avvezzi alla “De re coquinaria” (l’arte culinaria) acconsento al sobbalzare sulla sedia e ad esclamare: “Pesci? Ma sulle colline del Monferrato non c’è il mare!. E poi non ho mai pensato che possa esistere un fritto misto con pesci d’acqua dolce”.
Perdonato colui che non sa e posso ammettere che ci può stare che sorga qualche dubbio, ma posso altrettanto assicurare che nel mantovano esiste il fritto misto di pesci d’acqua dolce (e magari prossimamente ne scriveremo).
fritto misto piemontese smeraldaLe componenti del “fritto misto piemontese o monferrino”, invece, non hanno (forse!) mai visto il mare e di pesce non c’è proprio nulla.
Il “Fritto Misto” (Fricassà mëscià) è uno dei piatti più caratteristici dell’antica tradizione popolare gastronomica piemontese, un piatto tipico dei “giorni di festa”, presente nelle famiglie contadine nella stagione autunno-invernale.
Le origini vanno ricercate, sicuramente, nella notte dei tempi, una tradizione che si tramanda nei secoli, dal mondo contadino.
Si dice che la nascita del “Fritto Misto Piemontese” sia messo in correlazione con un grande evento che generalmente avveniva nei mesi invernali: la macellazione del maiale e del bovino, un tempo anche dell’agnello.
Maiale e bovino erano due pilastri dell’economia di autosostentamento della famiglia contadina e la loro macellazione era veramente un giorno di festa.
Questo piatto è nato per rispondere all’esigenza di consumare in fretta, onde evitare sprechi, le abbondanti parti non idonee alla lunga conservazione, quelle frattaglie, che rimanevano dopo la separazione delle parti nobili da insaccare per la lunga conservazione e per la vendita.
Allora entra in campo l’ingegno delle cuoche di famiglia, semplici, ma con gusto per il pratico, che hanno dato vita, utilizzando un prodotto di seconda linea, a un grande piatto che ancora oggi è molto ricercato e apprezzato.
L’abbondanza di carni in quei giorni, in contrapposizione alla costante scarsità, faceva radunare la famiglia: il tutto, normalmente, accadeva il primo giorno festivo successivo alla macellazione, quella che una volta era la festa di “fine macellazione”.
DSC_5931E per farla ancora più ricca, sempre l’ingegno di chi stava ai fornelli, prese l’abitudine di friggere, fegato, polmone, animelle, rognoni, filoni, cervella, testicoli e tante altre golosità, aggiungendo altri alimenti poveri, come ad esempio i semolini, le mele, gli amaretti e verdure, in ogni caso tipici della tradizione piemontese, creando in questo modo il contrasto dolce-salato che rende tipico questo piatto, il tutto impanato nel pane grattugiato (ottenuto spesso con il pane secco che così veniva recuperato senza spreco) e fritto nell’olio, quell’olio merce di scambio come altri prodotti che giungevano dalla vicina Liguria. Il tutto accompagnato dai sanguinacci.
Nel corso degli anni la preparazione ha subito importanti aggiunte e modifiche, data la facilità con la quale ormai si possono trovare e acquistare costantemente (e non solo più nei giorni immediatamente successivi alla macellazione) svariati tipi di carne.
Il “Fritto Misto Piemontese” si può considerare, e quindi servire, come piatto unico, abbastanza sostanzioso e decisamente ipercalorico.
Nelle varie zone del Piemonte capita, chiedendo il “Fritto Misto Piemontese”, di trovare grandi differenze nella preparazione, anche con l’introduzione di “elementi” che nulla hanno a che vedere con la tradizione gastronomica piemontese ma che si adeguano al cambiamento dei gusti e della fantasia di chi sta in cucina.
Un buon “Fritto Misto Piemontese” lo si può degustare presso l’agriturismo Cascina Smeralda di Mauro Martinotti a Pontestura, in provincia di Alessandria, dove si è cercato di mantenere inalterate le principali componenti di questo piatto con l’aggiunta di un “cremino al cioccolato” per soddisfare il palato dei bambini (e non solo).
La composizione tradizionale è composta da tredici pezzi: fegato (fricassà nèira), polmone (fricassà bianca), rognone, salsiccia, cervella, animelle, filoni, granelle, cosce di rana fritta, carrè di agnello, fettina di vitello, semolino dolce (polenta dossa o friciolìn), amaretto e a cui si devono aggiungere le verdure come la punta di cavolfiore e altre di stagione mentre la composizione attuale proposta dalla Cascina Smeralda si compone di undici pezzi ed è la seguente: fettina di vitello, polmone, fegato, cervella, filone di vitello, salciccia di maiale, semolino, mela, amaretto, carote e cremino al cioccolato.
Buon appetito!