La poesia in musica di Fabio Concato

di Antonio Scafaro
Il nostro redattore ci racconta con una profonda e sentita recensione il concerto del cantautore milanese, in tour con il meglio del suo repertorio, che si è tenuto ad Alessandria al “Teatro Alessandrino”. 

Sabato 26 marzo 2022, al cinema teatro Alessandrino nel calendario della stagione teatrale organizzata da Paolo Pasquale (titolare e amministratore unico del Teatro Alessandrino) e Massimo Bagliani (Direttore Artistico), ultimo tempio depositario di musica, spettacolo, arte e cultura, cioè Il TEATRO, si è esibito Fabio Concato nel suo Musico Ambulante Tour.

Non è facile per me, da sempre amante delle sue canzoni, recensire con obiettività le due ore di spettacolo. L’amore, in tutte le sue forme, limita un atteggiamento privo di personalismo, perché il protagonista è il cuore.

Ma veniamo allo spettacolo. 

Il debutto in scena, introdotto con sicurezza, ironia e maestria non ti può non far pensare alle origini artistiche di Concato,:  “ Il Derby club” di Milano, che ha dato i natali ad Abatantuono, Faletti, Boldi, Teocoli, Iannacci, Porcaro a tanti altri.

I venti brani, con parentesi jazz,  ci accompagnano con dolcezza e malinconia, intervallati, per tutto il tragitto musicale, da interventi cabarettistici e poetici. Il pubblico alessandrino, noto per la poca espansività, in questo contesto volta pagina, merito del grande artista che riesce, senza aggressività, a far salire idealmente sul palco i suoi fan.

– Ho quasi sessantanove anni, a settanta diventerò rocker, dice Concato.

– Ma tu sei il più bello, urla il pubblico

– Concato s’inchina e ringrazia: m’inchinerei di più se non avessi mal di schiena.

E’ questa semplicità, questo prendersi in giro che lo avvicina al pubblico, che lo fa ancora amare dopo quasi cinquant’anni di carriera e oltre 140 canzoni.

“ Ti ricordo ancora, Tienimi dentro, Sexy tango, Guido piano, Troppo vento, Mi innamoro davvero… un susseguirsi di emozioni, di poesia, un desiderio di natura e libertà espresso nel brano “ Guido piano” incollano l’attenzione del pubblico e le mani, spontaneamente, battono per tenere il ritmo, per seguire la sua melodia, per sentirsi sul palco con l’artista.

E non potevano mancare i brani familiari, dedicati al padre “Gigi”  e alla figlia Carlotta “ Fiori di maggio” e volgendo lo sguardo ho visto lacrime scorrere su visi felici del pubblico, un’emozione intensa che può trasmettere solo la PURA POESIA, quella che l’artista ci regala da anni. 

Mi è mancata l’ultima canzone dedicata alla sua prima nipotina Nina, “ L’Aggeggino” che chiude il cerchio delle canzoni familiari, Padre, Figlie, Nipote : “C’è un aggeggino adesso tra le mie braccia… e una speranza così grande non la ricordavo più, c’è un grande amore adesso tra le mie dita…” ma come ha detto ieri sera il cantautore “ in ogni concerto c’è sempre qualche canzone che il pubblico avrebbe voluto ascoltare, ma una scelta di venti canzoni su centoquaranta e più, deve per forza escluderne qualcuna”

Molto apprezzati sono stati anche i brani “ L’Umarell”  per il quale gli è stato assegnato l’Ambrogino d’oro, scritto durante il forzato isolamento pandemico che, racconta Concato, gli è stato suggerito da questa statuetta posta sul pianoforte di casa sua che, sembra gli abbia detto, “ mentre sei qui a oziare racconta di me “ (L’Umarell in milanese è il pensionato che, mani dietro la schiena, passeggia fra i cantieri, dispensando consigli tecnici, non richiesti, ai pazienti operai) e l’altro brano dedicato a Telefono Azzurro  051/222525 (era il numero di telefono di allora) in cui condanna la violenza domestica sui minori e l’indifferenza della gente “ Su babbo smettila di bere e non mi picchiare un’altra volta…E tutti a dire che vergogna, ma tutti a chiudere la porta, in fondo a noi cos’è che importa, il nostro bimbo è qui che sogna “ Semplici parole per una dura condanna in difesa dei più deboli, che solo un animo sensibile, poetico, celestiale ( i proventi della vendita furono devoluti interamente a Telefono Azzurro) poteva scrivere per lasciarle alla storia. 

Ornella D’Urbano, Gabriele Palazzi, Stefano Casali, Larry Tomassini, non posso terminare questa recensione senza parlare di loro I MUSICI, come li ha appellati Fabio Concato durante il concerto. 

Dietro ogni grande uomo c’è sempre una grande donna, diceva Virginia Woolf, con molta modestia e con rispetto prendo in prestito l’aneddoto per dire che dietro un grande artista ci sono sempre dei grandi musici.

Quattro maestri, quattro nuvole di suoni che mischiati armonicamente ai fumi scenici, hanno accompagnato in modo magico la voce un po’ nasale e l’ironia di Concato.

Il tocco femminile degli arrangiamenti e delle tastiere di Ornella d’Urbano hanno valorizzato ancor di più le melodie, l’estasi in cui il batterista Gabriele Palazzi è sembrato immergersi nei momenti più intimi delle canzoni, il basso di Stefano Casali che ha sostenuto magistralmente le armonie e le melodie, come confermato dall’arrangiamento di Telefono Azzurro, le chitarre di Larry Tomassini eccellenti per tecnica e suoni, con espressività e bending da brivido, quest’arcobaleno di suoni ha avvolto come in una nuvola le poesie canore del grande cantautore e ha fatto sentire il pubblico in simbiosi come un’unica orchestra di cinquecento e più elementi uniti da un unico concetto espresso in precedenza da Fabio Concato: il canto è un farmaco”.

Il pubblico ha lasciato il teatro con una felice malinconia sul volto, i brani hanno risvegliato ricordi, emozioni, ma la simpatia e la bravura dei Musici Ambulanti ha trasformato questi sentimenti, ha aggiunto la consapevolezza che la musica e il canto possono migliorarci e di conseguenza migliorare il nostro mondo…  Senza una radice niente può congiungersi con il cielo…senza una radice non c’è pianta non c’è fiore…senza una radice non c’è terra dove noi andremo…

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