Quel dolore che non riusciamo a capire

di Jacopo Scafaro
Il nostro caporedattore ci propone un’importante riflessione sul dolore, che segna la vita di moltissime persone. 

Nel corso di queste settimane ho pensato spesso , su come affrontare il tema del lutto e della perdita. Questo anno e mezzo di pandemia ci ha tolto molte certezze, stabilità, prospettive di un futuro; perciò quando arriva un dolore inatteso (come la morte di una persona cara, una malattia, una delusione lavorativa o amorosa) siamo più deboli nell’ affrontalo, realizzarlo e sopratutto metabolizzarlo. Allora come si fa? Come si può gestire emotivamente un dolore? Facile! Non si può, non almeno se crediamo sia possibile non imbattersi nella sofferenza, nella paura e nell’angoscia che immancabilmente il dolore si porta dietro.

Quando il dolore bussa alla porta del cuore non si può non andare ad aprire. Entrerà con la forza del vento e brucerà con l’impeto del fuoco tutto ciò che credevi tuo per sempre. Quando se ne andrà nulla sarà più come prima. E’ dannatamente difficile attraversare questo Dolore. Ripeto quello che ha detto Shakespeare, ripreso poi da Cancrini: “è necessario dare parole al dolore, altrimenti scava dentro di noi e ci conduce verso un malessere ancora più importante”. Cosa significa far parlare il dolore? Significa permettersi di piangere, di ricordare momenti, aneddoti, immagini, significa raccontare agli altri e a noi stessi di chi non c’è più, di cosa ci manca, di cosa ci ferisce, di cosa ci fa star male.

E così, quando un Dolore arriva nella vita e impone la sua presenza, esso vuol sostare nella nostra mente, nel nostro cuore invitandolo a spezzarsi. Il dolore porta ad esplorare parti di noi che ancora non conoscevamo, porta dentro noi stessi. Quando il dolore si fa intenso ascoltiamolo come se stessimo ascoltando il rumore di un torrente in piena, senza giudizi, senza opporci con il pensiero, senza proiettarvi emozioni di alcun tipo. Lasciamo che il dolore venga spogliato da ogni sovrastruttura mentale ed emotiva, lasciamo che sia pura percezione corporea, accolta totalmente, libera. Se dovessero affiorare pensieri o stati d’animo, bene, nessun problema, lasciamoli scorrere, ascoltiamoli come ascoltiamo il dolore, come ascolteremmo il suono di una campana o le grida di bambini che litigano in strada.

Perciò, convivere con il dolore vuol dire buttare la spugna e condannarci a vivere nel dolore? No, assolutamente. Posso solo dirti di non mollare, di sfogarti, di non smettere di credere in una vita che avrà comunque tante belle cose, di piangere quando devi farlo, di prenderti i tuoi momenti di solitudine, di spaccare anche qualche piatto e bicchiere se hai rabbia che ti viene da dentro, di credere in te stesso e nelle tue capacità, di credere nella vita e nella saggezza dell’Universo. Ci sono la paura, il dolore, il disincanto del mondo, la solitudine, la malattia; ma accanto, a volte dentro, il coraggio, la gioia, il mistero, la saggezza, l’amore. Dobbiamo imparare a convivere più serenamente col tempo che scorre e porta cose buone e cattive, e poi le porta anche via.
E’ il nostro vivere, è il nostro invecchiare.

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