Rubrica a cura di Alessandro Tasso.
Torna “La rubrica sportiva di Ale Tasso”che oggi ci racconta di
Ole Gunnar Solskjær.
Ci sono attimi che condizionano inesorabilmente la storia del calcio e non solo. Momenti nei quali la nostra esistenza percorre le “sliding doors”.
Il personaggio di cui parlerò oggi da circa 20 anni è entrato nella storia con una delle rimonte, per distacco, più pazze di sempre. “A forza di fare gol impareranno la pronuncia del mio cognome”.

Queste dichiarazioni rappresentano perfettamente Ole gunnar Solskjær. Un uomo ancor prima che calciatore di una sicurezza disarmante, ma allo stesso tempo di un’umiltà non comune.
È stato un colpo di fulmine, quando mio padre cuore granata ma con spazio Devil, mi ha raccontato di questo esile e smunto norvegese ero ancora un bambino che non capiva l’importanza epocale del personaggio.
Con il passare degli anni e con accurate e per niente pesanti sedute video a guardare ciò che amo sono riuscito a comprendere il valore della sua figura all’interno dello scacchiere di Sir Alex Ferguson: una capacità inaudita di spaccare la partita in corsa che è a dir poco singolare nella storia del nostro amato gioco.
Sovente i riflettori sono puntati sulle star che partono dall’inizio ma quasi mai ci si sofferma su chi, in scampoli di partita può fare ciò che altri non riescono a fare in 90′.

Solskjær a mio a parere appartiene a quella lista di sportivi che hanno condizionato in maniera secolare ciò che è stata l’interpretazione di calcio. Un’intelligenza sopraffina, un innato fiuto del gol, accompagnato da quella spolverata di eleganza e classe che ti fa sembrare sempre tutto più magico.
Con un parere marcatamente personale per attitudine al gioco non è eresia fare un paragone co un professore anch’egli, ma di un altro sport ed avente cattedra in un altro continente: Manu Ginobili. Quest’ultimo però decisamente più iconico all’interno dello studio della sua materia.
Tornando ad Ole, una delle frasi che più mi ha colpito è stata una frase di monsieur Eric Cantona che sotto precisa domanda su cosa ne pensasse riguardo il compagno, disse canonicamente:”Si è adattato, può dare una grande mano.”
Le previsioni di Cantona furono alquanto accurate dato che il numero 20 segnerà 126 goal in 366 partite in maglia rossa.
Ma c’è una data che contraddistingue di più di tutti l’esperienza di Ole al Manchester United, facendolo entrare di diritto nella storia della sponda rossa di Manchester.
Bayern Monaco-Manchester United
26 maggio 1999. Minuto 93 della finale di Champions League.
Il Manchester United ha appena pareggiato grazie a Teddy Sheringham e si appresta a battere l’ultimo calcio d’angolo della partita.
Batte Beckham, colpisce proprio Sheringham di testa, la palla finisce davanti a Ole Gunnar Solskjaer che con la punta la mette sotto la traversa, mandando in visibilio i tifosi dei Red Devils al Camp Nou.
E’ il gol del 2-1 finale che riporta la coppa dalle grandi orecchie a Manchester dopo la bellezza di 31 anni e che regala la stagione perfetta alla squadra guidata da Sir Alex, già vincitrice del campionato e della FA Cup.
Quella partita racchiude perfettamente ciò che ti può dare e togliere il calcio a 360° e come tutte le grandi storie l’eroe è il ragazzotto venuto dalla lontana Norvegia, quella leggenda difficilmente inquadrabile, freddo ma vivace, classico ma allo stesso tempo rock’n’roll.
Solskjaer si ritirerà ufficialmente il 27 agosto 2007 dopo aver avuto la certezza di non poter tornare a giocare ad alti livelli dopo un grave infortunio al ginocchio.
Più di vent’anni dopo il suo trasferimento allo United, con un posto assicurato nella storia del Manchester, è più che giusto affermare che Ole Gunnar Solskjær ha superato le aspettative di tutti, dimostrando al mondo chi è senza mai rinunciare al sano principio del sacrificio. Qualita’ che sta cercando di dare in dote alla sua squadra ancora oggi che è diventato manager (anche un po’ discusso) dei Red Devils.
Il baby-face assassin, che ha fatto inesorabilmente breccia nel cuore di tutti noi.
