rubrica a cura di Alessandro Tasso
La nuova rubrica, ideata dal nostro giovane redattore Alessandro Tasso, ci farà compagnia ogni lunedì e parlerà di sport a 360 gradi..
Nella mia personale visione del mondo, mi hanno sempre affascinato particolari caratteristiche, ormai distanti dai canoni nostrani come l’umiltà, la capacità di adattamento, la resilienza…
Ecco la storia che cercherò di riassumere in poche righe le contiene tutte quante, impersonificate da un elemento a dir poco particolare, il suo nome è Pj Tucker.
Un cagnaccio, grande, grosso e gentile che, considerato non adatto al basket Nba, cerca fortune nel 2011 in Italia, più precisamente a Montegranaro.
Dopo aver girato un po’ per l’Europa, nel 2012 firma a Phoenix, mettendo inizio ufficialmente alla sua avventura nella lega a stelle e strisce.
Nel 2016, accasatosi a Houston, trova l’allenatore con i precetti che gli cambieranno definitivamente la carriera ma anche vita: Mike D’antoni.

Quello scienziato della palla a spicchi che passato anche per Milano, a mio personale parere ha rivoluzionato completamente il modo di intendere basket come lo vediamo oggi. Il lungo processo di epurazione dei lunghi rozzi e duri è sicuramente progredito grazie alle sue squadre.
In questa stagione quando i Bucks lo hanno voluto, perché decisamente congeniale agli schemi di coach Budenholzer, non ci ha pensato nemmeno un secondo ed in un battito di ciglia si è presentato a Milwaukee. Si capisce fin da subito che il connubio tra giocatore e franchigia potrebbe essere vincente.
Pj arrivando da anni di vorrei ma non posso con il Barba a trainare dei Rockets mai realmente decollati, si è messo subito a disposizione mettendo sul tavolo tutti i suoi colpi e la sua grande voglia di vincere per i compagni. Nello schema di Budenholzer, con ovviamente Giannis a trainare ed a monopolizzare quasi del tutto i possessi della squadra, gli è sempre stato chiesto di tirare dagli angoli sugli scarichi.
Ed in difesa? Bhe ovviamente si prende sempre la star della squadra avversaria, cercando di limitare la loro potenza offensiva, cosa che gli riesce meravigliosamente.
Per definizione l’operaio è quel lavoratore subordinato che segue le direttive di un capo.

Senza l’operaio l’azienda non guadagna, senza guadagnare chiude la baracca.
La franchigia a rischio rivoluzione dopo l’ennesima occasione persa alle finals 2019, trova l’ingranaggio mancante nella figura più inaspettata e lavoratrice all’interno della National Basketball Assotation. E sfido chiunque a dire il contrario. È liberando Giannis dai compiti in marcatura che si è potuta sprigionare tutta la potenza del greco offensivamente e questo, soprattutto contro i Nets ed i Suns, è stato di vitale importanza ed a posteriori si è rivelata la mossa vincente.
Nelle due serie finali è stato il cuore pulsante in ogni azione difensiva, un fuoco perpetuo che ardeva sul parquet delle partite più attese dell’anno, un motivo secolare per i tifosi di entrambe le franchigie.
Una volta un uomo discretamente famoso proveniente da una piccola fattoria sperduta all’interno dello stato dell’Indiana disse:” Ho una teoria: se si da il 100% tutto il tempo in qualche modo le cose si risolveranno alla fine”. Il suo nome era Larry Bird uno dei primi 10 giocatori mai esistiti e che fondamentalmente ha cambiato la storia del gioco.
Pj ha seguito alla lettera ogni parola di questa così strabiliante quanto umile frase e si preso la sua rivincita contro le malelingue, contro chi gli diceva che era un semplice giocatore di rotazione per squadre che puntavano ai playoff, contro chi lo dava per finito dopo il disastro di Houston.

La vittoria dello Sneaker Boy (nome affidatogli per la sua particolare attrazione per le scarpe) è la vittoria di tutti, di quelli spesso sottovalutati, ma con lavoro e fatica si sono presi la loro tozza fetta di torta di uno degli anelli più storici e rocamboleschi, per le sorprese avute prima e dopo i playoff, della storia del basket Nba.
Scendendo a compromessi ma mai perdendo l’identità iniziale.
Semplicemente Pj Tucker, un “rozzo” ma intelligente operaio nell’Olimpo dei campioni.
Ball don’t lie.