Vino, Hammurabi, il suo codice e che pene…

La Capra Enoica (Fabrizio Capra)
Oggi la Capra Enoica si cimenta un po’ con la storia antica e con il Codice di Hammurabi, il sovrano babilonese, che ha previsto pene per chi “tratta male” il vino.

Tanto tempo fa, ma tanto tanto tempo fa, già si poneva attenzione al vino e alla sua “difesa”.
Il Codice di Hammurabi – sovrano babilonese vissuto tra il 1810 e il 1750 avanti Cristo – codice hammurabiè l’esempio più antico di norme per regolare la vita pubblica e la giustizia.
Visto che il “saggio” Hammurabi era un amante del buon vino inserì nel suo codice una pena per chi veniva colto a vendere in modo fraudolento il vino (annacquato e non correttamente conservato).
La pena consisteva nell’annegamento.
In pratica si fregava i clienti con il vino e si moriva nell’acqua, poiché non penso che si sprecasse ottimo vino per annegare un “malfattore”.
Mi sorge un dubbio: se al posto delle leggi italiane e comunitarie che prevedono sostanzialmente pene pecuniarie, sequestro di prodotto, ecc. si applicasse ancora il Codice Hammurabi quante persone oggi rischierebbero di venire condannate all’annegamento?
Ma il Codice Hammurabi in materia di vino era ancora più preciso, da far tremare le hammurabimani, i polsi e tutte le parti del corpo che ritenete più opportune.
Parrebbe che il commercio vinicolo fosse riservato esclusivamente alle donne  che dovevano sostenere pesanti responsabilità e se la punizione per un po’ di acqua aggiunta al vino era l’annegamento non voglio pensare ad altre punizioni.
La condanna a morte era prevista anche nel caso che la venditrice sbagliava il conto oppure se non riferiva alle autorità complotti e illeciti carpiti ai proprietari del suo locale.
Oggi quanti avrebbero la possibilità di sopravvivere se a regnare sull’Italia ci fosse Hammurabi? Non voglio sbilanciarmi, penso ben pochi.
Terribile invece la condanna per una sacerdotessa che avesse osato recarsi a bere in una mescita di vino: veniva arsa viva.
Medesima sorte, per tutti, toccava a chi commetteva gli stessi “sbagli” con la birra, bevanda decisamente più diffusa, mentre il vino, in modo particolare, era utilizzato per scopi religiosi.
E su quest’ultimo passaggio sono abbastanza favorevole.
Ancora oggi un buon vino va sorseggiato in assoluto e religioso silenzio, meditando sulla bontà di un prodotto che ci viene tramandato da millenni.
Allora ti capita come domenica scorsa, impegnato nel girovagare tra gli stand della BIT, la Borsa Internazionale del Turismo, di incappare casualmente nel padiglione siciliano e trovarti a tu per tu con un Passito di Pantelleria che dire regale è ancora poco.
L’addetto allo stand me ne ha versato una dose minima ma sufficiente per chiudere gli passito pantelleriaocchi, per un solo attimo e sentirsi isolato da rumori e persone, godendomi quel fantastico prodotto.
Poi aperti gli occhi mi sono ritrovato davanti alla realtà con il frastuono che ti stordisce e il comportamento delle persone che ti fanno girare gli ammennicoli e a cui vorresti dedicare una canzone di Marco Masini di qualche anno fa, un canzone che inizia per “V” e finisce per “affanculo”, e auspichi che compaia all’improvviso Hammurabi e che codifichi come devono comportarsi le persone quando visitano una fiera.
Però almeno non mi è rimasto l’amaro in bocca, perché in bocca mi era rimasto lo spettacolare sapore del Passito di Pantelleria, quello giusto!

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