di Giulia Quaranta Provenzano
È con profondo piacere che oggi vi presentiamo il cantautore Raffaele Vigliotti, focalizzandoci sul suo esordio musicale quale Rosaspina. A seguire, quindi, la nostra chiacchierata vertente sul suo primo singolo dal titolo “Sette Coltelli”.
Ciao Raffaele! Il tuo debutto quale Rosaspina è avvenuto il 14 ottobre 2020, con il singolo “SETTE COLTELLI” – https://youtu.be/bc3j7veZ6wo, che è stato descritto quale intimo e fragile ma anche quale brano misterioso e ironico… l’ironia di chi sa di essere macchiato dentro e tuttavia non nasconde la propria personalità e il proprio passato, bensì li espone per essere d’aiuto ad altri. Ebbene tu ti ritrovi in ciò e cioè, anche, da sempre senti terapeutica la musica introspettiva la cui caratteristica – come tu stesso hai sottolineato – è l’intimità in quanto l’introspezione è un processo della mente attraverso il quale un soggetto si guarda dentro esaminandosi in ogni minima sfaccettatura… e, in questo modo, cerca di metabolizzare le proprie esperienze e la propria interiorità? “Io sono una persona che tende molto a guardarsi dentro e ad esaminare quel che vive in modo profondo …ovviamente le cose che mi danno emozione”.
Nella tua autobiografica canzone “SETTE COLTELLI”, ripercorrendo l’infanzia, canti «(…) Ella Ella Ella Ella eh/ Un eh/ sono sette coltelli yeah/ Ela Ela Ela Ela eh/ Un eh e sono sette coltelli/ E sono 7 un po’ come le notti/ passate davanti agli specchi/ ho conservato tutti i pezzi/ cresciuto tra streghe e tarocchi/ giuro ho visto il male con questi/ miei occhi». Puoi dirci, ma solo se ritieni catartico condividerlo con noi, che tipo di male hai visto con i tuoi occhi tanto da “inciderti”? Te la senti ossia di raccontare quali eventi violenti e parole pungenti, affilate e taglienti ti hanno macchiato e “segnato” come appunto fossero sette coltelli (e quali pezzi conservi ancora)? “Mi piacerebbe che le persone ascoltassero il mio brano “Sette Coltelli” e si sentissero libere di interpretare…”.

A proposito di tarocchi tu credi nella sorte, e credi che essi siano legati a un’immagine che il destino stesso fornisce dal momento che, interpretandoli nel modo corretto, a parere di taluni se ne possono trarre indicazioni, consigli ed avvertimenti preziosi? O, all’opposto, sostenere di sapere leggere il futuro è solamente superbia, che ammalia coloro che sono troppo deboli con addosso colpe o colpi che siano? “Non vedo i tarocchi come verità assoluta; li vedo come una versione in più, alternativa, di come potrebbero andare le cose”.
E a proposito di esoterico ed incomprensibile (o quasi) ai più, tu pensi che gli esseri umani siano gli unici abitanti dell’Universo oppure che vi siano pure forme di vita di provenienza esterna ed estranea al pianeta Terra? “L’Universo è talmente vasto che, perché no, potrebbero esserci altre forme di vita”.
Per quanto concerne poi la rara e stupefacente capacità e propensione all’associazione tra sfere sensoriali diverse, vale a dire la sinestesia che ti è peculiare (tra la pronuncia dei nomi e l’abbinato sapore del cibo), posso domandarti Raffaele Vigliotti a cosa lo associ ed anche Rosaspina? “Raffaele mi sa di acqua, insapore ma essenziale. E, a pensarci su, infatti il mio nome rispecchia proprio il significato di Rapha ed El cioè “medicina di Dio”. In Rosaspina, invece, sento dei sapori che tendono al delicato e al contempo all’aspro però non riesco ancora bene a decifrare l’alimento”.

La sinestesia la senti come un utile dono o, al contrario, è per te più spesso e più che altro un inaggirabile fastidio? “La sinestesia non mi ha mai dato fastidio, tranne che quando sono affamato. Sì, essa potrebbe essere un dono tuttavia – nella veste di eventuale supereroe – preferirei avere un potere molto più utile rispetto a codesta concomitanza dei sensi nella percezione”.
Hai inoltre affermato che «Quando ho iniziato a scrivere “SETTE COLTELLI”, dentro di me affrontavo la guerra più grande di sempre. La mia immagine si rifletteva allo specchio e un giorno quel che ero, in lotta con ciò che volevo essere, si è perso nel mio riflesso che andava in frantumi. Il coccio di vetro più tagliente era diventato un coltello, un’arma per affrontare e combattere i miei demoni. Alla fine di un tunnel fatto di silenziose riflessioni ho capito una verità importante: è proprio ciò che ho vissuto a rendermi la persona che sono oggi». Ordunque come ti sembra di essere stato in passato e come, invece, volevi essere e sei attualmente? “In passato ero privo di libertà, mi volevano omologato a ciò che già vi era in circolo. Ora, all’opposto, ho un dono importante che è quello della libera espressione artistica …un domani, riguardandomi indietro, se non dovessi avercela fatta almeno saprò di averci provato veramente”.
Sbaglio ad ipotizzare che il coccio di vetro più tagliente sia legato alla figura di tuo padre, mentre hai combattuto i tuoi demoni anche in nome e per l’amore che provi per tua mamma? Ella è difatti la forma femminile del pronome personale di terza persona egli, usata solo in forma di soggetto e Ela è nome che, in italiano, significa “Dio è il mio giuramento/la perfezione” ma dio potrebbe essere stato (magari addirittura inconsciamente) usato per indicare chi si considera onnipotente… quindi, se così fosse, ne conseguirebbe altresì una tua visione neppure positiva verso i fedeli/i tuoi parenti paterni o comunque gente che vi rimanda dacché ritengono dio Ela /tuo padre una specie di sinonimo di Ordine, Bellezza ed Armonia da rispettare e venerare… “Potresti aver indovinato, non pensavo che qualcuno potesse riuscire a scavare così a fondo nelle e le mie canzoni”.

Nel tuo brano “SETTE COLTELLI”, si può leggere «E sono sette un po’ come i peccati/ Peccato che io non li rivedo/ da quando ne avevo sette/ quando piangevo di notte/ ma tu non arrivavi se non alle 7/ Ho ancora i segni sulla pelle/ prima chiamavi ma ora niente/ E cosa c’entro con questa gente/ non vi sorrido ma vi mostro i denti/ Ho già sofferto quasi sempre/ sono la mela nel tuo Eden/ Ma tu sei solo una serpe/ È da una vita che aspetto il/ momento di dirvi/ che non vi devo un bel niente (…)». Sono le persone con cui sei cresciuto nel Giardino dell’Eden che adesso ti sei reso conto essere paragonabili e determinate da superbia, gola, avarizia, ira, lussuria, accidia ed invidia? “Come hai detto anche tu, mentre scrivevo “Sette Coltelli” dentro di me stavo affrontando una guerra… la situazione che allora stavo vivendo ha, insieme alla storia legata per l’appunto a “Sette Coltelli”, influito molto in tale testo che ho scritto. Vi sono tante mie riflessioni sorte in quel periodo. Il passato mi ha fornito insegnamenti per il futuro che, in quel momento, per me, erano tutti – come tutto! – in discussione”.
Vi è qualcuno dei sette peccati capitali che ti rappresenta nel presente, e in passato? E, rimbalzandoti una tua medesima domanda, secondo te è meglio lasciarsi trasportare ed infrangere i 7 peccati oppure scegliere la luce e seguire i dieci comandamenti? Tu, a questo citato bivio, per cosa hai optato attualmente – hai ceduto alle tentazioni che alcuni sostengono siano del Maligno o non credi vi sia dannazione perpetua, a causa d’esse, dopo la morte poiché tutto termina con l’ultimo terreno battito di ciglia? “Penso che tutti siano caduti almeno una volta in ciascun dei sette peccati. Nel mio caso in uno in particolare ossia, probabilmente, nell’accidia. Sono una persona molto energica e con tanta voglia di fare, tuttavia sono anche abbastanza pigro …ad esempio, la mattina sarei capace di “mandare a puttane” tutto per cinque minuti in più di sonno… soprattutto visto che sono sempre pieno di impegni e tantissime cose da fare”.

Non posso non ammettere che mi hanno colpito visceralmente i tuoi versi «LUSSURIA 1/3 – Con gli Dei,/ Un patto,/ Prescritto avevano già. Famiglia figlia della Carne…». Tu ti ritieni figlio del solo piacere sessuale? E, pertanto, hai idea che l’unico amore possibile sia l’amor proprio? “Io sono il risultato del solo piacere carnale, di certo non sono il frutto del vero amore. Non ho mai visto dei veri e propri esempi d’amore”.
Nelle scene finali del videoclip del tuo singolo “SETTE COLTELLI”, ti fai interprete delle opere di Francisco Goya dal titolo “Maja vestida” e “Il grande caprone”. Vuoi oggi esplicitare ulteriormente la donna vestita da maja e il sabba delle streghe quali puntuali aspetti rispecchiano dei tuoi racconti appunto di “SETTE COLTELLI”? “Ho pensato che i personaggi protagonisti dei citati quadri fossero una perfetta rappresentazione delle persone del mio passato. Senza voler scavare troppo a fondo nel significato, c’è chi si è spogliato della propria purezza e delle proprie credenze e chi ha abbindolato la gente consapevole di saper usare le parole”.

Infine, hai dei tatuaggi (chissà se a cartolina del passato, memo per il futuro)? E, in caso affermativo, quali e cosa rappresentano e significano per te? “Ho un solo tattoo che feci quando avevo diciotto anni. È una frase sotto l’avambraccio. C’è scritto «Sei la parte di me che nessuno potrà mai portar via» ed è dedicata a mia mamma. Non ho più voluto altri tatuaggi dacché desideravo semplicemente togliermi lo sfizio di provare la sensazione di farmi tatuare, dato che vorrei sperimentare di tutto nella vita, ma ad oggi li preferisco senz’altro sulla pelle degli altri. Potessi tornare indietro non rifarei neanche quello che ho, anche se resta un ricordo che custodirò per sempre e non mi pento di averlo”.