La Capra Enoica (Fabrizio Capra)
La scorsa settimana abbiamo terminato il secondo “Giro d’Italia Enoico” basato sui miei ricordi e, anche, sui miei non ricordi. Oggi diamo inizio a un nuovo corso collegato ai vini che ho degustato, anche a quelli che mi piacerebbe degustare, al territorio e alla storia… ma tutto in modo particolare che scoprirete leggendo questo articolo e spero che vi piaccia…
Fabrizio De André, il mitico Faber, cantava ne “La città vecchia”
Loro cercan là la felicità
dentro a un bicchiere
per dimenticare d’esser stati presi
per il sedere
ci sarà allegria anche in agonia
col vino forte
porteran sul viso l’ombra di un sorriso
fra le braccia della morte…
Facciamo gli abbinamenti: se parliamo di vino e cito De Andrè, parliamo di Genova e quindi della Liguria e il vino di cui scrivo oggi è ligure: il Pigato.
PILLOLE DI STORIA
Il Pigato, secondo tradizione, ha origine greca (pare dalla Tessaglia) e approdò sulle sponde liguri verso la fine del seicento perché gli zeneizi, gran navigatori e commercianti, allora detenevano una colonia nell’Egeo.
La prima traccia storica di un impianto del vitigno Pigato risale al XIX secolo, in particolare al 1830 quando l’arciprete Francesco Gagliolo (quando si parla di vini preti e frati appaiono sempre) ne impianto ad Ortovero in provincia di Savona.
Il vino Pigato, però, fu messo in vendita solo nel 1950: il vignaiolo era Rodolfo Gaggino e il prezzo era di 300 lire.
I RICORDI
Il Pigato qualche ricordo me lo ha lasciato dentro, collegato ad alcune ottime scorpacciate di pesce nella Riviera di Ponente con portate annaffiate da questo splendido vino che, forte del suo sapore e del suo profumo inebriava il nostro mangiare.
Il Pigato si accosta molto bene ai primi genovesi (primi intesi come portate e non ai genovesi della preistoria, meglio sottolinearlo) e, in particolare, penso alle classiche Trofie al pesto (fatto come si deve non con il frullatore verticale mi raccomando) a cui aggiungere patate e fagiolini oppure ai Pansotti al sugo di noci.
Pensandoci bene, come scrivevo tempo fa che anche i vini rossi si abbinano bene al pesce, i vini bianchi, e in questo caso il Pigato, si abbinano a secondi non di pesce e, anche qui, se penso alla Liguria e in particolare alla Superba, l’accostamento alla Cima alla genovese è presto fatto.
DUE “PIGATO” CHE HO APPREZZZATO
Il primo Pigato che tra tutti mi ha particolarmente colpito l’ho degustato parecchi anni fa quando dirigevo un’altra testata on line ed è quello prodotto dall’azienda Laura Aschero in quel di Pontedassio in provincia di Imperia e lo assaporai in una serata nel Monferrato Casalese, in provincia di Alessandria, nel corso di una cena di contaminazione gastronomica tra Casalese e Imperiese, che avevo organizzato alla Cascina Smeralda di Pontestura.
Altrettanto valido il Pigato dell’azienda agricola Massimo Alessandri con sede in quel di Ranzo (Imperia) e degustato in un fantastico ristorante della Riviera di Ponente, Il Pernambucco ad Albenga nel corso di un tour per la stesura di un articolo che intitolai “Provincia di Imperia non solo mare”.
ORIGINE DEL NOME
Parrebbe che il nome derivi da una termine dialettale: “Pigau” ovvero “macchiato” perché gli acini, giunti a maturazione, presentano della macchioline color ruggine sulla buccia.
Qualcuno però azzarda una origine di epoca Romana: “Picatum” e in questo caso il termine sta a significare vino aromatizzato che era decisamente in voga in quell’epoca tra gli antichi romani.
“Pigau” o “Picatum” che dir si voglia il “Pigato” resta un gran vino la cui assunzione per via bocca è consigliata.
PENSIERO… MEDITATIVO
Alcuni esperti che tracciano contorte descrizioni dei vini che degustano (credo a seconda del quantitativo bevuto prima di emettere il proprio parere) affermano che il Pigato è un vino di grande eleganza.
Sarà ma quando l’ho bevuto l’unica cosa elegante che, a volte, ho trovato era l’etichetta del resto non ho mai visto un Pigato in “tight” o in “smoking”.
Ho dato sfogo, quindi, alla mia curiosità e ho consultato il “vocabolario del vino” e ho trovato al termine elegante questa descrizione: “vino di grande qualità e stoffa”.
Ora sul primo ok, se si afferma che si tratta di un vino di grande qualità basta dirlo e risulta più comprensibile da tutti ma di stoffa? Boh!
Penso a qualche vecchio contadino che mi avrebbe risposto: “di stoffa? A me sembra vino!”.
AFORISMA DELLA SETTIMANA
Presto, portami un bicchiere di vino, in modo che io possa bagnare la mia mente e dire qualcosa di intelligente. (Aristofane)