Il 17 maggio il trentunenne Dario Iacono ha ottenuto il diploma da personal fitness trainer da parte della prestigiosa Issa Europe – International Sports Sciences Association. A seguire l’intervista.
Ciao Dario! Quando hai deciso di iscriverti all’ISSA Europe e come mai, con quale intento ed aspettativa? “Ho deciso d’iscrivermi all’ISSA Europe appena dopo il primo lock down dello scorso anno. Il motivo non saprei spiegarlo, semplicemente ho sentito che era giunto il momento”.
Quando e da cosa è nata la tua passione e dedizione al fitness? “Faccio fitness da quando avevo ventisei anni. La mia passione e dedizione [al fitness] è nata da tutte le ragioni più sbagliate di questo mondo… Vendetta. Rabbia. Odio”.
Il termine fitness deriva dall’aggettivo inglese “fit” cioè «adatto». Ebbene per quale motivo tu ti senti adatto quale istruttore e perché vorresti esercitare tale professione? “Io mi sento più che adatto ad esercitare la professione di istruttore di fitness …vorrei migliorare la qualità dell’aria dei miei clienti e far loro provare gli stessi benefici che il fitness ha dato a me in termini di salute e benessere”.
A proposito di idoneità, capacità, preparazione fisica e stato di forma fisica suggeriti dal termine “fit”, quali sono le caratteristiche indicanti lo stato di benessere fisico di un individuo? “Dipende da individuo ad individuo. Non c’è una singola risposta a questa domanda dal momento che molto sta in base alle esigenze del cliente”.
Come ottenere e mantenere un corretto stato di salute, forma fisica e benessere dell’organismo a partire anche dall’alimentazione? “…Le persone spesso non hanno idea di quanto fondamentale sia l’alimentazione e il saper mangiare. Un nutrizionista, a me, ha cambiato la vita!”.
L’attività di fitness può essere praticata nelle palestre e altresì all’aria aperta. Tu ti senti, però, di suggerire più uno dei due luoghi rispetto all’altro? Ci sono differenze rilevanti in base alla scelta di fare fitness in una struttura al coperto invece che all’aperto e viceversa? “Ci sono differenze enormi tra fare fitness in una palestra piuttosto che all’aria aperta ma, come detto prima, tutto si rimette alle esigenze e agli obiettivi del singolo cliente”.
Si dice che qualsiasi attività motoria, adatta alle caratteristiche della persona, può essere un mezzo per fare fitness ma come capire cosa è maggiormente adatto a sé? “Questo è un dei compiti del personal trainer, il quale compie analisi e valutazioni per ottenere il meglio per il cliente”.
Tu ami il fitness per una ragione ben precisa? Per esempio perché ostacola il sovrappeso, le malattie metaboliche, l’ansia e la depressione, i problemi osteo-articolari e muscolari, l’invecchiamento o magari quale occasione di socializzazione? “A me piace il fitness in quanto mi ha dato modo di sfogarmi e di realizzarmi. Ho poi ottenuto, grazie ad esso, effetti migliori sulla mia mente più che sul mio corpo”.
La nostra collaboratrice Giulia Quaranta Provenzano ci propone un “botta e risposta” con il modello Dario Iacono che nei giorni scorsi ha compiuto 31 anni.
È con piacere che abbiamo già presentato Dario Iacono questo febbraio, ed ora abbiamo voluto confrontarci con lui in un breve “botta e risposta”. Ecco dunque, a seguire, le dieci domande postegli in occasione del suo trentunesimo compleanno.
Ciao! Il 14 aprile è stato il tuo compleanno… Ci racconti chi era Dario ieri e chi è invece Darko, oggi? “Dario, ieri, brillava… Darko, oggi, ha capito un paio di cose in più …e non ripeterà gli stessi errori del passato”.
Come hai festeggiato, se eventualmente lo hai festeggiato, questo tuo trentunesimo tassello del puzzle della vita? “Non ho festeggiato; ho preso del sushi e sono stato a casa”.
Immagina questa nostra intervista come una torta con le candeline: qual è il tuo desiderio soffiandoci sopra?“Il mio desiderio?! Se lo dico, non si avvera…” [NdR sorride].
Ti potrei magari chiedere come ti vedi tra altri 31 anni, tuttavia mi sembra esagerato…fra dieci anni, però? “Spero di morire parecchio prima. Non ho voglia di vivere così a lungo”.
Quale la canzone d’auguri che ti auto-dedichi ed una canzone che ti piacerebbe ti dedicassero?“Mi auto-dedico «Misunderstood» di Robbie Williams [https://youtu.be/dYAifpU8S3E]. Non desidero, invece, che nessuno mi dedichi canzoni perché io non sarei in grado di capire, né alcuno è in grado di afferrare me: se infatti non mi comprendo io, come possono riuscirci gli altri?! Non ho comunque interesse a farmi capire – sto molto bene così”.
Forse alcuni ricorderanno i compleanni da bambini anche per le tavolate piene di dolci e salato. Ebbene, dimenticando per un attimo la dieta,cosa vorresti trovare in tavola?“Vado matto per il sushi, però pure per una bella pizza ed un buon piatto di cacio e pepe. Nel bicchiere, semplice acqua”.
Non dubito che ti siano giunti tanti sms il 14 aprile …qual è il messaggio, l’augurio, più inaspettato che hai ricevuto e quello che ti ha fatto maggiormente piacere?“Sono stati numerosi gli auguri che mi hanno fatto davvero piacere…”.
E qual è il messaggio di Happy Birthday più simpatico e quello più dolce che ti è giunto sempre questo 14 aprile?“Tanti sono stati i messaggi simpatici da parte di taluni che mi vogliono bene ed altrettanta è stata la dolcezza verso di me riservatami da persone fantastiche”.
Parliamo di regali. Cosa ti sarebbe piaciuto ricevere, chissà non soltanto di materiale, almeno nel giorno del tuo compleanno?“Ho ricevuto regali bellissimi …Solo chi mi conosce e vuole bene realmente poteva regalarmi delle Action Figure di una serie di robot di metà anni ’90! La mia collezione è ora più bella e preziosa”.
Una pazzia che potresti fare in questo momento? “Sono capace di tutto. In ogni momento. Sono inferno, quanto ugualmente potrei essere pace”.
Terminiamo infine oggi con la terza parte dell’intervista al quasi trentunenne Dario Iacono. Giovane uomo, Darko, che ha partecipato e vinto moltissimi concorsi e che a dispetto dell’invidia dei detrattori, che sono i più ferventi “ammiratori”, in passerella non conosce rivali.
Parlando della tua fascia di Mister Italia Friuli 2017, come sei approdato al concorso, proprio tu che sei stato tanto osteggiato in questa regione? Non hai fatto segreto di esserti presentato alla prima selezione senza la più pallida idea di come comportarti e di cosa esigesse una sfilata… «Ci sono approdato per caso, ma vinsi subito la selezione e questo cambiò tutto, ogni pronostico, in quanto fu una notevole iniezione di fiducia, totalmente inaspettata. Non avrei mai creduto di poter vincere qualcosa, qual che fosse questo qualcosa. Per me fu a lungo perfino impensabile pensare di riuscire a partecipare. Probabilmente se non avessi vinto non ci avrei mai più provato. Il requisito fondamentale per concorrere era essere residente in Friuli ed io lo ero. Andando avanti nelle selezioni, man mano che sfilavo, capii come funzionava. Quando vinsi il titolo la mia foto finì sui giornali e su Internet. Ricordo dei commenti che lasciano poco spazio all’interpretazione come: “Iacono, questo si che è un cognome da vero friulano, complimenti” o “Se questo è friulano, io sono norvegese” eccetera eccetera. Accadde lo stesso quando il titolo di un altro concorso andò ad un ragazzo di colore, che io votai tra l’altro essendo in giuria quella sera. La triste realtà non si smentisce mai, benché di fronte ai microfoni o alle telecamere pressoché nessuno ammetterà mai il proprio vero pensiero».
Chiamato per ben due volte per il programma televisivo “Uomini e Donne”, in onda su Canale 5, hai rifiutato entrambe le volte in quanto eri fidanzato da tanti anni e non ti sei mai pentito di aver, all’epoca, declinato l’invito. Poche settimane fa – hai reso noto – sei stato richiamato da Mediaset ché “non c’è due senza tre”. Nel caso potessi scegliere se approdare a casa di Maria De Filippi nella veste di tronista o corteggiatore quale preferiresti e per quale ragione? «Né l’una, né l’altra veste. Non ci penso più ormai, ma se proprio mi trovassi a scegliere opterei per fare il tronista. Per come sono fatto, credo che mi risulterebbe molto più facile che non dannarmi l’anima a corteggiare una ragazza. Per corteggiare una donna devo veramente esserne attratto, altrimenti alcuni gesti e alcune piccole cose non riuscirei a farle. Non sarei spontaneo».
A dispetto di ogni ipocrisia e bandita ogni reticenza, perché partecipare ad un programma sul piccolo schermo per trovare una ragazza e non invece cercare ed avere cura di quanto di più intimo senza il pericolo di una “pornografia” dei sentimenti, di dare e fare spettacolo delle proprie emozioni cosicché non ci sia, per altro, il rischio che siano strumentalizzate e che con l’amore abbiano ben poco a che fare (emozioni potenzialmente strumentalizzabili da più e differenti parti ovviamente)? «Io sono un ragazzo semplice e non mi soffermo a pensare su quanto potrebbe o meno succedere, che tanto è inutile. Se dunque partecipassi ad un programma tv del genere sarebbe con la consapevolezza dei pro e dei contro. Qualora una cosa non mi andasse bene non accetterei e fine del problema. Vero, c’è il rischio di venire strumentalizzati, c’è esposizione mediatica delle proprie emozioni eppure ne sono e sarei conscio a priori ed accettando lo rimarrei (conscio di ciò); direi di sì ad una partecipazione televisiva solo nel caso in cui mi andasse bene, a dispetto degli svantaggi. Detto questo, credo che valuterei le persone di fronte esattamente come lo faccio nella quotidianità, nella vita odierna, in quanto sarei lo stesso identico ragazzo che sono a casa. Ho infatti già spiegato come sia più immagine che sostanza questo mondo patinato, ma io so pensare con la mia testa e so pesare coloro che mi circondano. So che se mi si presentasse una persona interessante sarei in grado di guardare oltre quel velo tessuto dal mondo dello spettacolo che fermerebbe magari taluni, non me».
Tu nel quotidiano sei per la maggiore e maggiormente istinto o ragione, e quali ritieni essere i punti di forza e di debolezza rispettivamente di entrambi? «Sono decisamente istinto. Onestamente non saprei rispondere alla domanda; è così, uso il cuore, e basta».
Sei sensibile ai colpi di fulmine o, al contrario, per scegliere di accompagnarti ad un’altra persona necessiti di qualcosa in più di una mera attrazione, dettata da un subitaneo magnetismo? Inizieresti mai un qualcosa unicamente sulla scia di un interesse e richiamo fisico, esteriore e sessuale, come all’opposto affascinato solamente mentalmente e dall’animo di qualcuno? «Il colpo di fulmine può succedere. Può succedere sempre e non per niente mi è successo in passato. Il magnetismo è fondamentale, non posso negarlo, ma resta il fatto che se non c’è complicità, intesa, comprensione e testa rimane mera attrazione fisica. Credo che potrei iniziare una frequentazione, non una relazione, sulla scia dell’attrazione fisica. Viceversa, non riuscirei a fare altrettanto. L’attrazione fisica è requisito basilare, se c’è quella si può pensare e valutare una conoscenza, altrimenti la vedo difficile andare oltre la semplice amicizia».
Cosa trovi massimamente seduttivo e di pregio, di valore, imprescindibile perché una partner possa permanere quale tuo centro di gravità che non ha bisogno di ulteriore ed altro di diverso da lei? Una compagna quando e come può essere quella forza di sempre rinnovata stabilità eppure fresca oasi per un appagamento che non conosce fine dettata dalla noia e svilimento a causa, magari, dell’abitudine o di altro? Come può un/una partner sentirsi sereno/a qualora per lui/lei la serenità corrisponda al sapersi immune alla corruzione del sentimento che alimenta la coppia – e a te cosa dà serenità? «La comprensione, tanta dolcezza, tanta pazienza e soprattutto fiducia è quel che è importante per me. Una compagna può essere inamovibile quando coltiva il compagno. Alcune donne arricchiscono, e sono le creature più nobili del creato. Fanno migliorare chi hanno loro accanto a livello umano senza neanche che uno se ne accorga, si fanno capire senza urlare, non imponendo, ma rimanendo a fianco del partner persino quando sbaglia, dando supporto, credendo in lui e che alla fine arriverà a fare la cosa giusta. Una donna giusta (per il suo uomo) è quella che lo nobilita, lo rende completo. Altre donne invece impoveriscono e tirano fuori il peggio dall’altro, ingannano, mentono e fanno leva sui sentimenti che si nutre nei loro confronti. La serenità per me è avere fiducia e stima della persona alla quale mi lego. Parte tutto dalla fiducia, se manca quella è complicato creare qualsiasi cosa. Come sentirsi immuni all’eventualità di corruzione della coppia? Non so, io la vivo la coppia e vado avanti, deve venire facile stare insieme, spontaneo. Se si hanno troppi dubbi forse è il caso di rallentare, farsi due domande e darsi le risposte».
In un’attualità dominata dalla presenza ed invasività della tecnologia, con che occhi vedi Internet e i social? «Li vedo come strumenti utili e imprescindibili, ma anche pericolosi. Resto tuttavia dell’idea che alla fine è l’uomo che deve saper maneggiare con cura gli strumenti che ha a disposizione. Potrei paragonare i social ad una pistola: di per sé la pistola non uccide nessuno e nemmeno salva la vita ad alcuno. È la mano dell’individuo che aziona tutto, per uno scopo o per l’altro».
A proposito di social e mostrarsi, hai diversi tatuaggi ed alcuni più visibili di altri. L’ultimo a quando risale e possiamo dire che ogni tatuaggio è un po’ come una sorta di cartolina che ti sei auto-spedito in un determinato periodo della tua vita a memo nel futuro? «L’ultimo tattoo risale a dicembre, l’ho fatto sul piede sinistro. I tatuaggi che ho sono pochi considerato che ho iniziato da minorenne a farmene. Di solito chi comincia così giovane, alla mia età è molto più pieno di me. Io non ne ho tantissimi perché vanno di pari passo con la mia vita e con le esperienze che faccio. Man mano che le vivo, le metabolizzo, le comprendo, me le tatuo. I tattoo arrivano con il tempo, hanno tutti il loro perché …non che abbia nulla in contrario con chi se li fa solo per estetica, anzi. E magari ci arriverò anch’io».
Infine, quali i tuoi obiettivi a breve e a più lungo termine?«Sono scaramantico e diffidente, i miei obiettivi li conservo in silenzio, per me. Ho paura che, se li dico, poi non si avverino. Un po’ di felicità non sarebbe male comunque…!!!».
Proseguiamo con la seconda parte dell’intervista ad Dario Iacono, trentuno anni tra due mesi. Giovane uomo, Darko, che non abbassa la testa non tanto per mostrarsi quanto piuttosto per osservare e preservare così i propri spazi, la propria bolla da estranee e brutali invadenze. Domani la terza e ultima parte della lunghissima intervista.
Dario Iacono, Darko come chiamato per la prima volta da alcuni bambini anni fa, attualmente è un agente di commercio per l’industria cosmetica Kaaral ma è stato un apprezzatissimo modello che può vantare la vittoria in innumerevoli concorsi, sfilate e pubblicità prestigiose quale ad esempio per Polar Sunglasses. A seguire il proseguo dell’intervista.
Darko, hai affermato che studiare è importante… A che pro e qual è il principale valore della formazione, a tuo avviso? Tu cosa amavi ed ami studiare soprattutto? Anche questa probabilmente potrebbe apparire una domanda con dell’urticante taciuto, implicito, dacché l’istruzione non è per esempio garanzia di impiego e non di meno non è con questo scopo che te l’ho rivolta, bensì semplicemente per sapere cos’è stato propulsore del tuo studiare. «A scuola mi interessavano parecchio alcune materie, ma per contro ne odiavo certe altre. Ero molto portato per le lingue e le discipline umanistiche, mentre andavo malissimo in matematica. La scelta di proseguire gli studi dopo il diploma fu dovuta, oltre alle ragioni di cui già detto – (prima parte intervista), al fatto chel’opportunità di apprendere nuove cose davvero mi attraeva e poi ero conscio del fatto che per lavorare avrei comunque avuto una vita intera …Ma ripeto, inoltre decisi di proseguire con l’Università perché volevo dimostrare a molta gente che anche l’ultimo della classe può raggiungere traguardi rilevanti e che l’essere andato, in precedenza, male a scuola non significava essere stupido o non poter avere un futuro. Sono pronto a scommettere che se uno qualunque dei miei ex compagni di classe si fosse trovato a quattordici o quindici anni nella situazione in cui mi trovai io non sarebbe durato nemmeno dieci minuti».
Da bambino “cosa avresti voluto fare da grande”? Ed ora che sei un giovane uomo, che ad aprile compirà trentuno anni, il tuo sogno è sempre lo stesso, ti senti almeno in parte realizzato? «È difficile da spiegare e di sicuro ancora di più da capire, ma ci proverò ugualmente. Da bambino, una volta divenuto grande, avrei voluto fare Batman. Ma c’è un’età dopo l’infanzia e prima dell’adolescenza, dagli undici ai tredici anni circa, dove realisticamente i sogni di un futuro probabile iniziano a formasi nella testa del ragazzo che si è, un ragazzo che scopre il mondo e scopre la vita.Ecco, io non ho avuto il tempo per poter immaginare, non ho avuto tempo per i sogni e dei piani realistici perché la mia vita perse senso proprio in quel periodo.Non mi resi conto subito della portata che avrebbe avuto il danno che mi fu inferto, ma ci ho fatto comunque i conti per tutta l’adolescenza.Quando dai sedici ai diciotto anni sentivo i miei coetanei parlare di cose per loro normali e del loro brillante e scintillante futuro, io sapevo che per me la strada da percorrere sarebbe stata ardua e di sicuro molto differente da quella della maggioranza degli individui.Anzi non c’era proprio una strada per me, non c’era mai stato neanche un percorso da me scelto.Ero troppo grande per essere un bambino, ma troppo piccolo per essere un uomo. Prima di compiere quattordici anni ricordo tuttavia che ero felice, ero vivace, integrato. Avevo l’argento vivo addosso, brillavo.Non potevo immaginare all’epoca cosa sarebbe successo, di come e quanto profondamente la mia vita sarebbe mutata da un giorno all’altro.Poi all’improvviso tutto crollò. Conobbi il freddo, l’abbandono, la fame, la miseria, la sconfitta, la solitudine.Imparai che è l’esistenza ad essere tale e che non ci sarebbe stato nessuno a (poter) salvarmi, non si può mai tornare indietro. Alcuni pensieri neanche mi sfioravano la testa prima di allora, non sapevo come si può stare tanto male.Le persone non capivano con cosa dovevo misurarmi, né interessava loro. Non è mai importato a nessuno e in fondo era giusto cosi.Ho delle reminiscenze di un epoca in cui avevo qualche sogno, qualche aspettativa dalla vita, ma non mi ricordo bene cosa si prova. I miei sogni sono stati bruciati tutti prima ancora che potessi vederli prendere forma».
So che lo sport ha sempre fatto parte della tua vita sin fa piccolo tant’è che – cito – hai imparato a nuotare prima che a camminare. Chi te lo ha insegnato? E poiché non abiti a Civitavecchia, la tua città di origine, ma a Pordenone senti nostalgia del mare e cosa rappresenta esso per te, vi sei affettivamente legato? «Mia madre mi iscrisse a nuoto che ero piccolissimo. Mi piaceva tantissimo e mi ha anche fatto molto bene. Non vivo più a Civitavecchia ma non l’ho mai scordata, vi scendo ogni anno e continuerò a farlo. Ho così tanti amici lì che mi aspettano e mi accolgono a casa loro …Civitavecchia resterà sempre la mia città, il luogo dove fui felice, dove tutto era bello, dove conducevo una vita con un senso. Ho moltissima nostalgia del mare, soprattutto perché io abitavo in una casa praticamente attaccata alla spiaggia. Serbo ricordi di lunghe estati caldissime passate per l’appunto al mare, da aprile a ottobre, sotto il sole, ad arrampicarmi sugli scogli, a giocare con la sabbia, a fare il bagno nell’acqua blu sotto il cielo azzurro. Oggi, quando ci torno, immancabilmente rivedo un posto dove davvero fui felice e dove i ricordi si accavallano. È una sensazione assai strana, perché da un lato è bello ma dall’altro… gli unici momenti gioiosi che rammento sono anche quelli che mi fanno soffrire, ché so che non torneranno più, sono finiti per sempre; non mi è rimasto che il loro ricordo».
Haipraticato poi tanti anni kickboxing e da cinque ti dedichi alla palestra, al sollevamento pesi in quanto stare sul ring non era proprio il massimo, se si vuole lavorare con la propria immagine e fare il modello. Cosa ti spinse a praticare tale combattimento di origine giapponese che combina le tecniche di calcio tipiche delle arti marziali orientali ai colpi di pugno propri del pugilato? «Quando arrivai a Pordenone, come accennato, ero solo e non avevo amici. Una volta un bullo grande e grosso mi umiliò in corriera davanti a tutti per una questione futile e mi sbatté la faccia sul vetro del finestrino. Tutti risero di me, non avevo modo di difendermi. Così decisi di imparare l’arte della kick boxe. Appresi dunque come difendermi, che era una questione di sopravvivenza dacché non avevo nessuno che mi avrebbe aiutato in caso di bisogno. Nel corso degli anni diventai anche bravo e mi tolsi non poche soddisfazioni. La kick boxe mi insegnò moltissimo altresì a livello umano. Molti anni dopo ho ritrovato quel bullo in un bar. Mi ha chiesto scusa e si vergognò di quanto commesso contro di me».
Posso domandarti come mai a quattordici anni ti sei trasferito al Nord, ove integrarsi è stato arduo e tutt’ora ancora non ci sei riuscito del tutto a causa del razzismo dilagante? Razzismo che ha quale origine e “movente” una presunta superiorità che, personalmente, mi inorridisce e trovo insensata oltre che crudele – come puretrovo non agghiacciante nell’accezione di paralizzante per la sottoscritta, dal momento che lo combatto da che ne ho memoria, ma del tutto inammissibile ogni pretesa di categorizzazione su presupposti che sono in ogni caso arbitrari (qualsiasi norma è convenzionale in quanto è tale soltanto perché in passato e/o attualmente è stata accettata dalla maggioranza e/o regolata da chi detiene il potere decisionale e pretende di normare il singolo). «In prima istanza mi trasferii a Gemona e solamente l’anno dopo ci recammo a Vivaro, in provincia di Pordenone. I motivi del miotrasferimento da Civitavecchia a Gemona invero preferisco tenerli per me, ma posso dire che fu un trasferimento inaspettato e velocissimo. Da un giorno all’altro la mia vita cambiò per sempre. A Gemona integrarsi fu semplicemente impossibile. Venni accolto a sputi, letteralmente. “Roma ladrona”, “romano di merda”, “terrone”, “burino” furono le prime cose che si preoccuparono di dirmi. Il mio accento era un problema, il mio modo di vestire era un problema, la musica che ascoltavo era un problema. Non andava bene niente di me, ero un pesce fuor d’acqua. Non capivo una sola parola di quello che dicevano, il friulano è una lingua vera e propria, non è possibile da comprendere se non lo si conosce e vi parlavano apposta in modo che non potessi partecipare alle discussioni. Mi impedirono addirittura di prendere parte alla recita scolastica perché non lo parlavo (col senno di poi, fu un gesto criminale da parte del preside e dell’insegnate!). Mi sentivo in un’altra nazione, in un altro mondo, mentre desideravo soltanto farmi degli amici perché avevo perso tutto ed ero solo, soffrivo e nessuno se ne curava. Erano tutti menefreghisti, tutti sentivano, tutti vedevano ma nessuno faceva niente. Ragazzi, adulti, genitori, insegnanti, non alcuno a muovere un passo verso di me. Venivo solamente attaccato, provocato o deriso. Gli effetti che questo trattamento ha sulla psiche di una persona, in ispècie a quell’età, sono devastanti eppure la cosa era largamente tollerata e ben radicata nella mentalità della gente in quegli anni. Non si rendevano forse conto del male che in questa maniera si fa al prossimo. Ed è così che divenni cattivo, è così che iniziai a conoscere ed abbracciare quel sentimento noto come odio. Si impadronì di me, bruciando, mi ha nutrito e alimentato per anni. La vendetta e la violenza entrarono ben presto nella mia vita e divennero l’unica soluzione ai problemi, creando quelli che sono i mostri. Quando lasciammo Gemona per Vivaro giurai a me stesso che non vi sarei tornato mai più e ho mantenuto fede a ciò. Vivaro non di meno seguiva la falsa riga di Gemona, fu durissima anche lì ed ancora oggi, nonostante ci siano stati notevoli passi in avanti rispetto al 2004, il razzismo è presente e dilagante. Negarlo è inutile. Alcune cose non cambieranno mai, sono radicate nel pensiero collettivo. Pordenone invece, a mio avviso, non è una città razzista; la mentalità di città è molto diversa dalla provincia e dalla campagna, dalla montagna».
Hai dichiarato «Ero emarginato e denigrato (…) Dagli sputi alle botte, agli insulti (…) Tuttavia le stesse ragazze che mi davano del “cesso”, ora mi chiedono di uscire e gli stessi ragazzi che mi davano del “terrone”, ora mi chiedono di allenarli. La rivincita è arrivata con il tempo». Tu sei un ragazzo in grado di perdonare o no, e perché dell’uno o dell’altro? «Credo fermamente che le persone possano cambiare. Io ne sono la testimonianza vivente… Per perdonare ci vuole tantissima forza, il perdono l’ho accordato ad alcune persone in passato però non perdonerei più».
Rimanendo in tema “seconda prova” fidanzarti o diventare amico di chi ti ha fatto del male pensi di poterlo concedere loro? Pensi ovvero effettivamente che una persona – a prescindere dalla propria generosità che fa sì che si annulli in sé qualsiasi desiderio di vendetta, di rivalsa, di “punizione” – possa cambiare radicalmente oppure alla fine “il lupo perde il pelo ma non il vizio”? «Sì, penso davvero che si possa cambiare nel corso della vita. Radicalmente, alle volte. Credo comunque che valuterei la persona per quella che risulta essere di fronte al momento, mi sincererei su se è sempre la stessa o se invece è in effetti cambiata e agirei di conseguenza …Ma rimane che la fiducia spesso scotta».
Iniziamo a presentare oggi un giovane uomo che ha fatto della volontà di rivincita il proprio motore propulsore. Determinazione ed impegno al timone di una vita a pieni polmoni e che, come l’elemento slavo dar – che vuol dire “dono” – possa davvero essere tale.
All’anagrafe Dario Iacono, ma conosciuto qualeDarko: quale ne è il motivo e l’origine, cosa ti ha cioè indotto ad adottare per designare te stesso una sorta di soprannome? «Ci sono più motivi che hanno contribuito all’adozione di questo nome, esso non è stato scelto da un giorno all’altro. Furono alcuni bambini ad assegnarmelo, dunque la paternità è loro più che mio il merito. Durante l’estate del 2014 lavorai come animatore presso un Punto Blu viaggi e turismo, io adoro i bimbi e i piccoli adorano me ed infatti ogni giorno mi facevano tanti disegni, sui quali vi scrivevano sopra “darko” o drago. Alcuni anni dopo, anche a causa di certe vicissitudini, tale appellativo si è rivelato perfetto per descrivermi e quindi ho deciso di “rispolverarlo”. Alle volte proprio i bambini vedono cose che al contrario gli adulti non notano …i bambini dicono sempre la verità!».
Come ti descriveresti ad oggi come persona ed in quanto modello? Spero mi perdonerai se questa, subito, può forse apparire come una domanda provocatoria ma che tuttavia non lo è nell’intenzione; piuttosto vorrebbe stimolare a riflettere insieme sul fatto se sia meglio rigettare ogni tentativo di descrizione perché induce pericolosamente a circoscrivere e limitare il sé, quindi se essa non sia soltanto ed invero in parte veritiera esclusivamente nell’istante in cui la volontà porta a dipingersi in quel certo qual modo chissà se per piacere e per il bisogno di stabilità e sicurezza che taluni, talvolta, sentono fondamentali o comunque di volere… «Quello di modello è più tosto un ruolo, una parte di quello che sono e di ciò che ho fatto. Le sfilate, le foto, i concorsi sono stazioni del mio percorso, ma non ne sono la sua totalità. Tale carriera non mi circoscrive né limita, perché non fu il bisogno di stabilità o sicurezza che mi spinse a partecipare ai primi concorsi, bensì il desiderio di rivalsa e curiosità. Non posso comunque negare che sia stato piacevole e soddisfacente vincere tanti concorsi, ma le motivazioni che mi hanno spinto a farlo erano appunto tali da farmeli vivere come un momento di crescita e un’opportunità personale, non come un’esibizione di me stesso o una costruzione per aumentare il mio ego. Sono difatti rimasto con i piedi ben saldi a terra, cosa necessaria in quanto il detto è un mondo bellissimo e parimenti pericoloso se non si hanno dei valori e una forte personalità – si rischia ossia di divenire solo un affascinante oggetto, privo di contenuti».
Un percorso di studi, il tuo, che – dopo il Liceo Scientifico – ti ha visto laurearti in Giurispudenza. Da cosa è stata dettata la scelta di tale indirizzo, vale a dire la decisione di intraprendere la detta facoltà all’Università Telematica Pegaso? Ed ancora, con quale intenzione e con quali aspettative hai compiuto questo iter formativo, cosa ti interessava ed interessa della Legge? «Scelsi la facoltà di Giurisprudenza per varie ragioni. Dopo un’adolescenza ed un percorso scolastico a dir poco disastrosi (sono stato bocciato tre volte e mi hanno espulso da due differenti scuole) volevo dimostrare a molte persone quali ex compagni, ex professori e maldicenti vari che anch’io potevo non di meno raggiungere i miei traguardi. In quel periodo inoltre volevo dare il meglio di me per una persona che al proprio fianco meritava un uomo di successo, e scelsi così Giurisprudenza per arrivare proprio a quel successo, alla faccia di tutti dacché nessuno avrebbe mai scommesso niente su di me. La scelta di UniPegaso fu dovuta al fatto che la mia carriera da modello stava ingranando bene e avevo la necessità di lavorare e studiare. UniPegaso fu una delle migliori scelte che potessi compiere».
Non hai fatto mistero di aver attraversato un periodo della tua vita piuttosto cupo e per l’appunto “dark”, periodo che ti ha fatto perdere una parte di te fino, presumibilmente, a mutare la direzione della tua esistenza e a cambiarti la vita. Puoi e vuoi spiegarci meglio a cosa fai riferimento con ciò? «Faccio riferimento a due periodi in realtà, di cui il primo dal 2004 al 2011. Ci ho messo anni solo per capirne le conseguenze, l’eredita che mi avrebbe lasciato. Ad oggi non posso affermare di averlo superato completamente, alcune cose succedono, non vi è un senso, non c’è giustizia e null’altro quanto invece unicamente un insieme di avvenimenti casuali, che scorrono, uno dietro l’altro. È nel novembre del 2018 che poi è iniziato il secondo periodo, del quale all’opposto mi sono subito accorto. Lo chiamo “dark” perché non saprei come altro definirlo ma alcune parti di me sono rimaste al trascorso e pur so di essere una persona diversa da allora, da quanto ha avuto, ha e porta un peso. Non sono più Dario, quel Dario è morto con ciò che devetti affrontare. Ci sono episodi della vita che impoveriscono, incupiscono, privano del più importante bisogno e perciò fanno perdere. Ci sono stati degli avvenimenti che hanno radicalmente mutato la direzione del mio percorso tant’è che ho abbandonato sia la carriera da avvocato, sia quella nel campo della moda, non essendo più la strada adatta a me. Penso sia necessario accettare le cose, poiché è inutile cercare sempre un senso visto che l’esistenza non ne ha a mio parere… E soprattutto molte volte non c’è il lieto fine dei film».
Hai inoltre rivelato che nutri la passione per la musica non predominante oggi ed in generale in termini di popolarità tra gli ascoltatori, di prediligere ossia il genere musicale dark ove vi è prevalenza del colore nero, di derivazione tipicamente anglosassone, contraddistinto da temi decadenti e in particolare da una ricorrente idea della morte o da un misticismo espresso con linguaggi e simboli derivati dalla religione. Ci indichi qualche cantante o gruppo musicale che sei solito ascoltare e con cui senti un’affinità interiore? «Sono sempre stato attratto dal non commerciale, dal non convenzionale, dall’insolito. Sono un grande appassionato di musica hardcore ma non mi limito a quella. La mia collezione personale vanta la presenza dei Mayhem come dei Backstreet Boys. Per me, condividere alcune canzoni è un gesto molto intimo. A volte mi esprimo meglio con una canzone che non a parole. In ogni caso vale la pena scindere la musica hardcore, che è la mia vera passione, da tutto il resto. Per gli appassionati del sound essenziale, così chiamo l’hardcore, sicuramente consiglio DJ Tron che è fra i miei artisti preferiti assieme agli Armageddon Project, Ophidan, Angerfist. L’hardcore viene prima di tutto per me, mi è insita, l’ho sentita dentro fin dal primo ascolto. L’hardcore è irrazionale, nessuno che canti o parli, niente testo, niente di predefinito, niente regole, solo il suono selvaggio che mi ha rapito da subito. Per quanto riguarda il resto della musica, ricordo che rimasi sconvolto quando ascoltai l’album “Disintegration” di The Cure – il brano “Plainsong” [https://youtu.be/8ofquR1F5mg], “Pictures of You” [https://youtu.be/UmFFTkjs-O0] e “Untitled” [https://youtu.be/vaIPFZoHA4] in particolar modo. Una menzione anche a XXXTentacion che considero a tutti gli effetti un genio. Canzoni come “Wing Ridden Angel” [https://youtu.be/HfcysXIZMbA] e “Snow” [https://youtu.be/hhsz6Z4hPk] mi hanno dato tantissimo, la sensazione di riuscire ad esprimere quello che sentivo ma che non sapevo dire altrimenti».
E a riguardo di religione credi in qualche divinità, in un’entità ultraterrena ed invisibile? Sei praticante? «Non credo in alcun Dio, né in un senso all’esistenza umana».
A proposito invece di colori, ho una curiosità ovvero in casa di che colore preferisci circondarti (ad esempio nella tinta delle pareti e dei mobili) come anche nel vestiario qual è il colore che ami maggiormente indossare? «Non ho un colore preferito. Nel mio armadio tuttavia c’è molto nero perché è sempre elegante, ma non soltanto quello visto che non mi soffermo troppo sulle tinte mentre piuttosto guardo come l’indumento mi sta addosso».
Oltre che modello, sei agente di commercio per una ditta di prodotti per parrucchieri. Svolgi quest’ultima attività professionale perché ti piace il settore e/o per una differente motivazione come ad esempio per la sopravvivenza e perché, magari, trovi qualche particolare attinenza tra il settore moda e bellezza/estetica e non ti dispiacerebbe entrare in contatto con referenze che potrebbero forse risultare e rivelarsi ancora utili e propedeutiche al tuo nuovo ingaggio in sfilate, tv etc.? «Indubbiamente il settore e l’ambiente lavorativo in cui mi sono immesso mi piacciono, inoltre sono libero da orari e vincoli. Essere libero professionista ha sì degli svantaggi, però anche numerosi aspetti positivi: la mia giornata è sempre diversa, mai noiosa e le possibilità sono illimitate come altresì i risultati meritocratici… Certo è da poco che me ne occupo, la vita è imprevedibile e strana. Il mio attuale è un mondo che mi pare parecchio lontano dalla moda, senza evidenti connessioni fra la professione di rappresentate e quella specifica di modello».
Perché ami o chissà, oramai sol più per tua scelta, amavi sfilare, perché ti piaceva l’idea di andare in tv, insomma perché desiderare una carriera in questi ambiti?Cosa provavi dentro di te su una passerella, davanti ad un obiettivo fotogafico, su un set o in diretta? «Onestamente non ambivo ad una carriera vera e propria nel mondo della moda. Partecipare ai concorsi, vincere, migliorare e poi vincere ancora e ancora è stata più che altro una scommessa con me stesso. Amavo sfilare per una questione di rivalsa personale. La rivalsa di chi non ha mai avuto nulla, di chi era sempre emarginato perché bruttino, “sfigatello”, povero, diverso dai più. Ricordo che una volta in una sagra nel mio piccolo paese vidi un modello che sfilava in intimo e tutte le ragazze lo guardavano estasiate. Pensai che non fosse niente di che, tutto fumo e niente arrosto. Pensai che avrei potuto stare su una passerella anch’io e che se un giorno fossi arrivato a sfilare sarebbe stato un traguardo non da poco per me, ma la gente rideva.Quando infine mi sono deciso, e ho cominciato ad impegnarmi per fare il modello, ho poi riso io.Col passare del tempo, acquisendo sicurezza e dimestichezza,pratica,i concorsi e le sfilate, la televisione, il pubblico, le foto sono diventati abituali. Niente ansia, niente paure, niente esitazioni.Fu il modo più appropriato ed incisivo di tappare la bocca alla gente cattiva e superficiale alla quale per la maggiore sfugge come tutto sia solamente immagine. Spesso si diventa belli agli occhi delle persone perché si sfila su una passerella con dei riflettori puntati sopra, perché si è chiamati modello e non perché effettivamente si sia diventati migliori di prima. Questo la dice lunga sulla mentalità di troppi. Io in fondo sono rimasto sempre il medesimo, è cambiata unicamente l’immagine che ho di me e la percezione che si ha di me…». [Continua…]