Oggi per la rubrica “Racconti e Poesie” ospitiamo la quarta parte del racconto di Faber 61: “Il mistero del libro senza titolo”
Il mistero del libro senza titolo
di Faber 1961
Riassunto: Vittorio Piana si trova nella biblioteca della dimora del conte Massimiliano Della Spada in attesa di essere ricevuto dal padrone di casa che lo aveva invitato. Vittorio si trova circondato da moltissimi libri alcuni dei quali antichi e che trattano argomenti particolari. L’arrivo del conte lo distoglie dall’osservare quel patrimonio cartaceo. Il padrone di casa preleva un libro dallo scaffale e invita Vittorio a seguirlo. (prima parte). Nel salotto dove si trovavano il conte invita Vittorio a prendere visione del misterioso libro. Vittorio lo osserva con lo stupore di non trovare alcun segno sulle quattro facciate della copertina e nemmeno nella prima e ultima pagina. Ma non l’ha ancora aperto del tutto (seconda parte). Il conte e Vittorio tengono una lunga conversazione e decidono che Vittorio si trasferirà a Palazzo per avere tutto il tempo per analizzare il libro. La notte passata a casa porta Vittorio a pensare al mistero di questo libro e il ritorno a Palazzo riserverà ancora sorprese (terza parte).

Il conte Massimiliano Della Spada si alzò dal divano dove era rimasto seduto tutto il tempo e prese il libro dal tavolino: «Credo che sia la soluzione giusta, speriamo di arrivare a una soluzione. Questo mistero non mi fa quasi dormire la notte».
Mi alzai anch’io ma non dissi nulla; fu il conte a proseguire: «Ti faccio accompagnare a casa così potrai riordinare le idee su questa vicenda e potrai preparare quello che ti necessita per trasferirti qui da me. Domani mattina ti veniamo a prendere, entrerai dal giardino e nessuno potrà vedere il tuo ritorno a casa mia».
«Perfetto sono prontissimo; non vedo l’ora di iniziare, questo mistero mi sta appassionando: “Il mistero del libro senza titolo”».
Un semplice gesto con la mano e il conte mi invita a seguirlo.
Massimiliano Della Spada apre la porta del salotto e si avvia nel corridoio, lo seguo.
Giunti in fondo al corridoio ci sta aspettando la persona che mi aveva fatto accomodare nel salotto; il padrone di casa si rivolge a lui: «Antonio accompagni a casa il signor Piana e nel tragitto vi metterete d’accordo perché domani devi andare a prenderlo e riportarlo qui».
«Come desiderate signor Conte. Signor Piana mi segua».
Salutai il conte: «Ci vediamo domani Massimiliano».
«Ci conto Vittorio» ribatté il conte.
Una stretta di mano e seguii Antonio, entrammo nel giardino e ci dirigemmo verso la rimessa.
Antonio, alto circa un metro e ottanta, fisico sicuramente scolpito, capelli neri rasati quasi a zero, viso dai lineamenti abbastanza normali, occhi verdi, naso regolare, bocca dalle labbra abbastanza sottili.
Antonio tirò fuori l’auto, un auto di lusso, scese e mi aprì lo sportello posteriore.
«Antonio – affermai – credo sia meglio che mi posizioni davanti. Quando arriveremo sotto casa mia daremo meno nell’occhio con il vicinato. Meglio evitare inutili chiacchiericci. Già il fatto che scendo da un’auto di lusso farà parlare».
«Come desidera signor Piana» disse risalendo al posto di guida mentre mi sedevo sul sedile al suo fianco.
Durante il tragitto in auto, nemmeno troppo lungo, compresi il ruolo di Antonio: l’uomo di fiducia del conte che da buon ‘uomo di fiducia’ non raccontò nulla del suo padrone.
Ci accordammo per il giorno dopo: sarebbe passato alle 9 a prendermi per riportarmi a palazzo Della Spada.
Nel frattempo siamo arrivati, saluto Antonio e raggiungo il mio appartamento: erano le 18,30.
Presi la decisione di andare a cena nella trattoria dietro l’angolo, un posto senza pretese ma dove si mangia bene e, soprattutto, tranquillo.

Preparo subito il trolley con un paio di cambi e tutto il necessario per la permanenza nella casa del conte e il mio immancabile zaino contenente il mio “ufficio” portatile e scendo a cena.
Mentre consumo il mio pasto – un buon minestrone di quelli casalinghi e ossibuchi alla cremolata di limone e zafferano, il tutto innaffiato dal vino della casa – inizio a pensare al libro misterioso ma tutti i miei pensieri in merito vanno a cozzare contro uno spesso e impenetrabile muro. Possibile che non mi viene nulla in mente?
Sto sorseggiando il caffè quando mi si accende la classica lampadina: alcune immagini che ho visto nel libro misterioso non mi giungevano nuove. Ma dove le avevo già viste?
Meglio scervellarmi a casa: pago il conto e ritorno nella mia mansarda. Chiaramente non ho sonno e continuo a pensare.
Però più penso e meno trovo risposte, risposte che devo trovare per non deludere la fiducia che il conte Massimiliano Della Spada ha riposto in me.

Mi alzo e prendo dal mobile la bottiglia di Sciacchetrà che mi ha regalato un amico, ne verso nel bicchiere il giusto e siccome è un ottimo vino da meditazione mi siedo e inizio a… meditare: però davanti e dietro me il nulla.
Finisco il vino e cerco di dormire, mi appisolo, mi risveglio… ma la notte la sto passando troppo agitato. Mi ritrovo a fissare troppe volte la sveglia sul comodino e la notte sembra non passare mai.
Fuori è sempre buio e le lancette sul quadrante della sveglia si muovono troppo lentamente.
Alle 5 non riesco più a stare coricato: mi alzo, vado in bagno e faccio una lunga doccia con il mio classico colpo finale: un getto di acqua fredda, l’immancabile doccia norvegese. Indosso l’accappatoio, vado in cucina e mi faccio un caffè.
Mi siedo al tavolo per sorseggiarlo, poi mi alzo, finisco di asciugarmi e mi vesto. Tutto è pronto per andare a casa del conte e ritrovarmi a tu per tu con il libro misterioso.
Guardo l’ora sul cellulare: sono le 6,30. Ancora due ore e mezza prima che Antonio mi passi a prendere.
Scendo al bar sotto casa: caffè e brioche. Giusto per far passare il tempo: per consumare questa piccola colazione mi siedo e continuo a pensare.
‘Il mistero del libro senza titolo’ non abbandona il mio pensiero.
Mi fermo un attimo e ho un flash: quel libro possiede un qualcosa di ipnotico, un qualcosa che entra nel cervello.
Ecco cosa avevo già visto: un libro simile. Ma quale?
Pago e risalgo nella mia mansarda.
Verifico per l’ennesima volta che ci sia tutto sia nel trolley sia nello zaino. Non manca proprio nulla se non ancora un po’ di tempo di attesa per ritrovarmi in quella meravigliosa e arcana biblioteca.

Manca poco, prendo trolley e zaino, chiudo la porta a chiave e scendo nell’androne del palazzo senza incontrare nessuno, per fortuna; guardo l’orologio dello smartphone: mancano dieci minuti alle 9, come al solito sono sempre in anticipo.
Non faccio tempo a rimettere il cellulare in tasca che vedo arrivare Antonio alla guida di un Suv anche lui in anticipo, buon segno.
Prendo le mie cose ed esco: nel frattempo Antonio è sceso dall’auto per aprire il bagagliaio dove ripongo trolley e zaino, poi salgo sempre al fianco del guidatore.
«Buongiorno signor Piana» mi dice Antonio prendendo posto davanti al volante «Dormito bene? Ho pensato di cambiare auto giusto per non dare nell’occhio come ha detto lei ieri».
«Buongiorno Antonio, dire di aver dormito bene è un eufemismo ero troppo agitato».
Partiamo e ci dirigiamo verso il palazzo del conte. Il breve viaggio avviene senza spendere una parola.
Entriamo da una via laterale da dove nessuno può vedermi così come desidera il conte e mi accorgo solo ora che il giardino è sopraelevato rispetto al piano stradale.
Antonio parcheggia l’auto davanti alla porta sul retro del palazzo dove ad accogliermi c’è il padrone di casa.
«Benvenuto Vittorio, entra che ti faccio accompagnare nella tua camera».
Massimiliano si avvia e lo seguo.
Davanti alle scale, ad aspettarci, una ragazza: minuta, non troppo alta, capelli neri e lunghi legati in una coda, molto carina.
«Lei è Luisa: si occupa della casa. Luisa lui è l’ospite di cui ti ho parlato. Accompagnalo nella sua camera affinché disponga le sue cose» poi si rivolge a me «Vittorio appena avrai finito ti attendo nel mio studio. A dopo» e si allontanò.
Luisa si rivolse a me: «Signor Vittorio mi segua, l’accompagno nella sua stanza».

Mentre ringrazio la ragazza si avvia e la seguo al piano superiore salendo per una splendida scala con i gradini in marmo perfettamente tirati a lucido.
Anche il piano superiore mi sembra enorme, percorriamo un corridoio fino a fermarci davanti a una porta che Luisa apre invitandomi a entrare: «Signor Vittorio prego».
«Luisa dammi pure del tu…».
Luisa non mi lascia terminare e mi dice: «Il signor conte non vuole».
Non insisto e entro in camera: Luisa mi aiuta a sistemare nell’armadio quanto ho portato con me.
Ho voglia di incontrare il conte e poi immergermi nella biblioteca.
Luisa mi aspetta e si propone per accompagnarmi allo studio del conte: accetto volentieri.
Scendiamo le scale, la seguo: solo in quel momento mi accorgo del movimento armonioso e poetico delle sue natiche. Il pensiero del libro mi ha fatto perdere ogni altra attenzione, così come non ho nemmeno posto grande attenzione alla camera dove soggiornerò almeno fino alla risoluzione del mistero.
Nel frattempo siamo arrivati davanti alla porta dello studio e a malincuore stacco lo sguardo da quella paradisiaca visione che Luisa mi ha offerto camminando davanti a me: un briciolo di distrazione prima di ributtarsi nuovamente su quel misterioso libro.

Luisa bussa e attende una risposta che non tarda arrivare. Da dietro alla porta si sentono dei passi, la porta si apre: «Prego Vittorio entra pure. Luisa puoi tornare alle tue faccende».
«Si, signor conte, buona giornata signor Vittorio» e la ragazza si allontana percorrendo il corridoio mentre io entro.
Chiusa la porta il conte si rivolge a me: «Vittorio non ti ho fatto venire nel mio studio per parlare ancora del libro. Se ci fossero state novità me le avresti dette subito, appena arrivato. Ti ho fatto venire qui perché ti consegno la seconda copia della chiave della biblioteca».
Massimiliano si avvicinò alla scrivania, prese la chiave e me la porse.
Quando la ebbi tra le mani rimasi un attimo interdetto e poi emozionato.
« Ora – disse il conte – ti lascio andare in biblioteca. Scusa se non ti accompagno intanto sai dov’è e poi in questo momento rischierei di essere solo di intralcio» e sorrise.
Mi aprì la porta augurandomi buon lavoro.
Mentre la porta dello studio si richiudeva alle mie spalle feci girare un attimo la chiave tra le mani poi mi diressi in direzione della biblioteca.
Giunto in fondo al corridoio mi imbattei in Luisa, la fermai.
«Luisa mi puoi fare un favore?» le dissi e lei annui con la testa.
«Puoi per piacere andare in camera mia e portarmi lo zaino, quello che abbiamo messo dentro l’armadio e me lo porti in biblioteca».

«Va bene signor Vittorio però io non posso entrare nella biblioteca. Il signor conte non vuole. Sa, lei è un’eccezione”.
«Basta che bussi, vengo ad aprire e prendo il mio zaino».
Luisa fece un inchino che mi sembrò molto da serva veneziana del settecento e si avviò.
La seguii con lo sguardo solo per alcuni istanti poi mi avvicinai alla porta della biblioteca, infilai la chiave nella toppa, la girai fino a quando si aprì.
E mi ritrovai bloccato nel rivedere quella meraviglia, quel patrimonio di carta.
Rimasi ancora un attimo sulla porta a rimirare girando la testa da destra a sinistra e viceversa, poi mi decisi di entrare e…
(fine quarta parte)
©Fabrizio Capra